Terza e ultima puntata della miniserie intitolata “Vini rissosi”, concepita per approfondire le molteplici dispute che stanno infiammando il Mondo del vino. Nelle prime due si sono toccati rispettivamente le argomentazioni di marketing e quelle tossicologiche dei diversi raggruppamenti di produttori, bio, integrati, biodinamici e “liberi”. Dopo aver quindi visto come sia spesso difficile orientarsi fra i molti messaggi contrapposti, i quali sovente non paiono neppure del tutto onesti e corretti, si è cioè chiarito come la salute del consumatore sia spesso tirata in ballo del tutto a sproposito.
Con il presente articolo si cercherà invece di soppesare i reali impatti ambientali che i differenti tipi di vino possono avere, visto che anche l’ecologia pare essere divenuta nel tempo uno dei più efficaci tormentoni di marketing per i molti contendenti del mercato vinicolo.
 
Innanzitutto, l’impronta carbonica. Si fa infatti sempre più un gran parlare di effetto serra e surriscaldamento globale, causati dagli accumuli di anidride carbonica in atmosfera. Ogni attività umana produce in effetti CO2, ora più, ora meno, quindi si può anche pensare di utilizzare furbescamente la bassa impronta carbonica dei propri prodotti, vera o soltanto presunta, quale argomentazione a favore del proprio business. Tanto per capirsi, vi sono pure alcune aziende che riportano gli studi compiuti per valutare il “carbon footprint” dei propri vini biologici e/o biodinamici evidenziando come essi abbiano un profilo altamente eco-compatibile, specialmente se consumati in loco. Se esportati, invece, quegli stessi vini vedono impennare la propria impronta carbonica di un paio di ordini di grandezza. Tradotto in parole povere, per essere davvero eco-compatibili quei vini dovrebbero essere bevuti o direttamente in cantina oppure nei ristoranti limitrofi, perché se quelle bottiglie vengono vendute a Tokyo, come talvolta accade, inquinano quanto una caldaia a gasolio anche se prodotti seguendo disciplinari “bio”. Bella scoperta, si potrà commentare: ci sono dieci ore di volo per andare nel Paese del Sol Levante e quel carburante un suo impatto pur ce l’ha, sia che la merce trasportata sia Polonio radioattivo, sia si tratti di vini biodinamici. Appare però gara dura argomentare con degli estimatori di vino giapponesi che per rispettare l’ambiente devono essere loro a prendersi un jumbo e venire in Italia per gustarselo, quel vino. Anche perché, pensandoci bene, un jumbo consuma lo stesso carburante indipendentemente che il carico sia di Polonio radioattivo, vino biologico oppure cittadini di Osaka. Quindi si torna punto e a capo, indipendentemente da come la si metta.
Del resto, il giorno che il “carbon footprint” fosse calcolato in modo davvero meticoloso, forse ci si accorgerebbe pure che un chilo di pasta di grano Kamut®, biologico, prodotta con materie prime giunte in Italia dal Canada, ha un’impronta carbonica di gran lunga peggiore di un chilo di pasta italiana prodotta con grano duro nazionale coltivato secondo protocolli di difesa integrata. Anche perché, magari, si dovrebbe ricordare pure che il grano duro nostrano produce il quadruplo(1) del Kamut® canadese(2) e quindi ha richiesto, a parità di prodotto finale, un quarto di superficie coltivata, a tutto vantaggio quindi della biodiversità e dell’ambiente.
Il medesimo discorso vale anche per i vini: il loro impatto sull’atmosfera è così dipendente dai chilometri percorsi per essere consegnato che l’aver usato in vigna rame o sostanze di sintesi diviene una variabile ampiamente trascurabile sulla sommatoria finale di CO2 emessa per soddisfare il palato dei propri clienti, specie se internazionali.
 
Un altro argomento su cui si accendono le dispute commerciali, perché alla fin fine è di questo che si sta parlando, è l’uso di "pesticidi". C’è chi li usa e non ne fa mistero. C’è chi li usa, ma stranamente pensa di non usarli. C’è infine chi li usa, ma sfacciatamente afferma, mentendo, di non usarli. Dei primi vi è poco o nulla da commentare: dicono ciò che pensano e fanno ciò che dicono. Sui terzi idem, non vale la pena parlare, perché in quanto disonesti vanno perseguiti legalmente e non giornalisticamente.
Sui secondi invece qualche commento vale la pena spenderlo, perché questi, in perfetta buona fede, sono davvero convinti di non usare “veleni”. Un campo da battaglia in tal senso è stato realizzato in Provincia di Treviso, area del Prosecco, ove si è accesa una disputa al calor bianco proprio sull’impatto per la salute e per l’ambiente che avrebbero i “pesticidi” usati nelle vigne. Si parla di stragi di rane(3), di cancri come se piovesse(4) e di inquietanti presenze di metaboliti chimici nelle urine degli abitanti(5). Di fatto, i test citati sulle rane avrebbero solo dimostrato che gli agrofarmaci sono tossici quando somministrati ai girini a dosi pari a un decimo della dose di etichetta, alla dose piena di etichetta e, infine, rullo di tamburi, a dieci volte la dose di etichetta. Ovvero, i poveri batraci sarebbero stati esposti a dosi superiori di circa mille, diecimila e centomila volte quelle cui realmente sono esposti nei loro stagni. Un non senso ecotossicologico che però è stato usato per diffondere gli usuali allarmi di dubbio spessore scientifico.
Circa i tumori, le statistiche oncologiche dell’aera del Prosecco risultano migliori delle medie regionali, quindi non si capisce da dove siano state tratte le vaticinazioni da Cassandra diffuse mezzo stampa.
Infine, i monitoraggi di etilentiourea, metabolita del mancozeb, reclamati a gran voce dai soliti comitati di cittadini, non hanno evidenziato alcuna differenza rispetto alla media nazionale, incluse metropoli ove di mancozeb non se ne usa. Anche perché quella molecola si forma anche nei fumatori, nei bevitori e a seguito dell’assunzione di alcuni farmaci.
Insomma, una gran cagnara per nulla.

Eppure c’è chi vorrebbe che tutta la zona del Prosecco venisse convertita a biologico(6), nella convinzione che solo così si possa preservare Natura e Salute. In altre parole, le medesime persone che tuonano contro gli ogm resistenti al glifosate, perché conducono a un uso reiterato di una sola molecola su ampie superfici, reclamano per inverso l’abolizione in viticoltura di tutte le sostanze organiche di sintesi, da sostituirsi con… il rame. Ovvero una sola sostanza attiva, per giunta metallo pesante, dovrebbe essere usata urbi et orbi su estensioni territoriali importanti e ciò la si ritiene invece cosa saggia e giusta. Misteri della natura umana.
Peraltro, analogamente a studi che dimostrerebbero risvolti poco piacevoli sulla salute portati dai “pesticidi” di sintesi, ve ne sono altri che evidenziano aspetti altrettanto poco piacevoli sul rame(7), oppure sul rotenone(8), utilizzato anch’esso in lotta biologica fino a pochi anni fa. E si parla di Alzheimer nel primo caso e di Parkinson nel secondo. Mica pizza e fichi.
Bene però dirlo chiaramente, giunti a questo punto: non moriremo tutti, come troppo spesso si sbraita nei soliti salotti. Né usando sostanze di sintesi, né producendo in biologico. Entrambe le forme di agricoltura vanno infatti considerate molto al di sotto della soglia di pericolosità per la salute, come pure ampiamente gonfiati appaiono gli impatti sull’ambiente attribuiti all’agricoltura integrata. Perché una cosa è la presenza di sostanze chimiche, un'altra è la loro reale pericolosità. Due concetti fra i quali corre una differenza abissale. Abissale per i tecnici, ovviamente, molto meno per i consumatori, i quali sono pertanto esposti continuamente a ogni gaglioffa tirata di giacca per ingraziarsene le preferenze.
 
Che quindi il consumatore si gusti pure il suo buon bicchiere di vino, lasciando che vadano a vuoto le sterili querelle sull’anidride solforosa, sull’alcol, sull’impronta carbonica, sui residui, sulle rane e sui tumori. Nella quiete avvolgente della propria casa è bene infatti non entrino gli echi delle gazzarre ideologiche e commerciali ingaggiate dai molti mercanti nel Tempio che quel bicchiere di vino vorrebbero tutti fosse il loro, anziché di un qualche concorrente.
 
 Bibliografia:

(1) Produzioni italiane grano duro: http://www.teatronaturale.it/strettamente-tecnico/bio-e-natura/5564-grano-duro-chiusa-la-campagna-a.htm
 
(2) Saskatchewan Ministry of Agriculture: Kamut fact sheet.
 
(3) Rane schiacciate o avvelenate: http://www.oggitreviso.it/ranocchi-meglio-avvelenati-che-schiacciati-57732
 
(4) Tutti col cancro in 15 anni: http://www.oggitreviso.it/un-piano-di-azione-tra-15-anni-saremo-tutti-malati-di-tumore-59193
 
(5) Monitoraggio etilentiourea: http://www.trevisotoday.it/cronaca/risultati-analisi-pesticidi-prosecco-treviso-19-agosto-2013.html 
 
(6) Conegliano depesticidizzata: http://www.oggitreviso.it/conegliano-depesticidizzata-59239
 
(7) Itender Singh et Al. (2013): "Low levels of copper disrupt brain amyloid-β homeostasis by altering its production and clearance". Proc Natl Acad Sci U S A. 2013 September 3; 110(36): 14771–14776.
 
(8) Caboni P, Sherer T, Zhang N, Taylor G, Na H, Greenamyre J, Casida J (2004). “Rotenone, deguelin, their metabolites, and the rat model of Parkinson's disease”. Chem Res Toxicol 17 (11): 1540–8.