Braccio di ferro di principio
Per il Parlamento europeo si è trattato soprattutto di una questione di principio: per la prima volta, dopo il Trattato di Lisbona, l’agricoltura, e quindi la riforma, sono materie in cui il Consiglio, dove siedono i ministri responsabili dei diversi governi europei, e l’Eurocamera, rappresentante dei cittadini, hanno lo stesso peso. “Sarebbe stato un precedente pericolosissimo – ha spiegato Paolo De Castro, presidente della Commissione agricoltura al Parlamento europeo (Comagri) – permettere ai leader europei di decidere quali aspetti lasciare al Parlamento europeo e quali no”. Insomma, la prossima volta i leader europei probabilmente eviteranno di mettere il naso nelle questioni che non spettano loro, sia perché è illegale secondo le regole comunitarie, ma soprattutto per non essere nuovamente smentiti.
Capping, flessibilità tra pilastri, convergenza esterna
Tre gli aspetti che erano stati lasciati da parte rispetto all’accordo di fine giugno: il capping, cioè la fissazione di un tetto per i pagamenti diretti; la flessibilità tra pilastri, ovvero la possibilità di spostare risorse dagli aiuti diretti ai programmi di sviluppo rurale, e viceversa, e la convergenza esterna, ovvero l’equiparazione degli aiuti percepiti da agricoltori di diverse nazionalità.
A causa della strenua opposizione di Paesi come la Germania e il Regno Unito, dove le aziende agricole sono in media di grandi dimensioni, è stata ridimensionata l’ambizione di ridurre drasticamente i pagamenti diretti superiori a 150mila euro, e addirittura abolire gli aiuti oltre i 300mila euro.
Non è stato fissato, invece, nessun tetto, e la riduzione, per i pagamenti oltre 150mila euro, sarà del 5% appena. Ogni Stato membro, poi, potrà decidere di destinare il 5% dell’ammontare totale dei propri fondi europei per il sostegno al reddito alle aziende di piccole dimensioni: in quel caso, anche i pagamenti diretti superiori a 150mila euro non saranno toccati.
Anche sulla flessibilità tra pilastri la posizione del Consiglio è stata intransigente: così, non solo gli Stati membri potranno trasferire il 15% della dotazione nazionale di pagamenti diretti allo sviluppo rurale, ma il flusso di denaro potrà avvenire anche in direzione contraria. Il Parlamento europeo avrebbe invece voluto evitare che il 15% dei fondi per i programmi comunitari di sviluppo rurale (25% per chi riceve meno del 90% della media europea) potessero essere dirottati al sostegno agli agricoltori.
Infine, le dotazioni nazionali per gli aiuti diretti dei singoli Stati membri saranno progressivamente riequilibrate. Così, i Paesi che ricevono meno del 90% della media UE, vedranno un aumento graduale, pari a un terzo della differenza tra la loro situazione e il 90% di quella media comunitaria. Il che implica, evidentemente, un aggiustamento anche per i Paesi che si trovano sopra l’asticella della media.
Prossimi passaggi
“Rendo omaggio ai ministri e agli eurodeputati per il modo in cui sono stati in grado di trovare un compromesso – ha commentato il Commissario all'agricoltura europea, Dacian Ciolos – ora però bisogna procedere all’adozione formale entro il 2013, per dare certezza agli agricoltori europei”.
Il prossimo obiettivo, infatti, dopo il voto in Comagri lunedì 30 settembre, sarà l’approvazione da parte dell’Europarlamento riunito in sessione plenaria, a ottobre o al più tardi a novembre, per poi passare all’adozione da parte del Consiglio. Di modo da poter lavorare al più presto per rendere operative le misure transitorie e far sì che non ci siano vuoti tra la vecchia e la nuova Pac.