Settimana cruciale per la riforma della Politica agricola comune: a un passo dalla potenziale chiusura – si parla ancora della fine del mese di giugno, entro il semestre di Presidenza irlandese – si affilano le armi negoziali. I rappresentanti delle tre istituzioni giocano ormai di sola tattica, in primis il Parlamento europeo che, per aumentare la pressione, ha annunciato che potrebbe non partecipare al Consiglio decisivo, quello che lunedì 24 e martedì 25 giugno vedrà riuniti a Lussemburgo i Ministri dell’agricoltura.

Il Parlamento europeo mette sotto pressione le altre istituzioni
“La disponibilità a negoziare è totale, fino all’ultimo minuto, pur di raggiungere un accordo sotto Presidenza irlandese",  sostiene Luis Manuel Capoulas Santos, uno dei 3 relatori della riforma Pac per l’Europarlamento, ma "la partecipazione al Consiglio della prossima settimana a Lussemburgo – fa da contraltare Paolo De Castro, presidente della Commissione Agricoltura al Parlamento europeo (Comagri) – dipende dai risultati che saranno concretamente raggiunti nelle ultime discussioni informali previste per la settimana in corso”.
Gli ultimi due triloghi, gli incontri negoziali tra i rappresentanti delle tre istituzioni che si sono tenuti a partire da inizio aprile, sono fissati per giovedì 20 giugno, e solo allora l’Euroassemblea scioglierà la propria riserva. Senza progressi, “non vale la pena spostare 80 persone a Lussemburgo”, minacciano.
Un modo, per l’istituzione dei cittadini, per far sentire la propria voce nei negoziati fino all’ultimo, tramite una strategia di pressione su Commissione europea e Consiglio, che su diversi punti “devono mostrare più flessibilità”, se si vuole siglare un accordo.

Bocche cucite sui contenuti
A pochi giorni dalla (potenziale) quadratura del cerchio, le bocche sono cucite sui contenuti, soprattutto quelli più sensibili, e viene ripetuto quasi come un mantra che “finché non è tutto deciso, nulla è deciso”.
Certo, sono molti i progressi fatti nella quindicina di triloghi, ma nessuno dei dossier è completamente definito, tanti i dettagli ancora da limare. Per esempio sul greening, le regole per rendere l’agricoltura di domani più sostenibile dal punto di vista ambientale, l’orientamento è quello di mantenere le tre regole proposte dalla Commissione europea – diversificazione delle colture, pascoli permanenti, aree ecologiche – introducendo anche i principi dell’equivalenza e della certificazione, ma si negozia ancora sulle percentuali e sulle tempistiche.
Per la convergenza interna, ovvero il tentativo di avvicinare le entità di aiuti percepiti dagli agricoltori di uno stesso Paese membro, si cerca un delicato equilibrio tra i due principi contrapposti: da un lato, appunto, far sì che chi riceve contributi inferiori alla media veda aumentare il sussidio, dall’altro, evitare che certi settori strategici si vedano improvvisamente sottoposti a riduzioni troppo brusche degli aiuti percepiti.

I temi “intoccabili”
È ancora in ballo anche un’altra questione, rimasta ambigua fin dallo scorso febbraio quando i capi di Stato e di governo, discutendo del budget, diedero indicazioni anche su tre argomenti chiave della riforma Pac: il riequilibrio dei sussidi tra diversi Stati membri (convergenza esterna), l’imposizione di un massimale agli aiuti per singola azienda (capping) e la flessibilità di spostamento delle risorse tra i due pilastri della pac, tra aiuti diretti e sviluppo rurale.
Per il Consiglio, si tratta di tematiche già definite, essendosi espressi i leader europei al massimo livello, ma il Parlamento europeo, a cui il trattato di Lisbona garantisce piena parità quanto alle tematiche agricole, insiste sul fatto che questi argomenti non possano essere eliminati di punto in bianco dal tavolo del negoziato, ignorando così di fatto le posizioni dell’Eurocamera.

L’ostacolo del bilancio ancora incerto
E non è finita, perché c’è anche lo scoglio del bilancio pluriennale: i soldi per finanziare i programmi europei per i prossimi sette anni ancora non sono stati definiti con precisione, poiché non è stata raggiunta l’intesa finale tra Consiglio e Europarlamento.
“Non sono così ottimista – ha detto senza mezzi termini De Castro – che la riforma possa essere applicata, se non venisse trovato l’accordo sulle risorse”.
E anche altri eurodeputati confermano che, se il bilancio venisse definito di anno in anno invece che per tutto l’arco dei setti anni, la riforma diventerebbe tecnicamente impossibile da mettere in atto.