Un lungo elenco di 200 Organizzazioni di produttori agricoli, con una base produttiva di 300 mila conferenti, che fanno però fatica a mettere insieme il 5% del valore della produzione agricola italiana, visto che il giro di affari non arriva a due miliardi di euro.

Come dire, per usare la metafora delle battaglie commerciali, un esercito con forconi caricati a salve. E’ l’ultima foto di gruppo, in realtà molto sbiadita, della galassia delle Organizzazioni di produttori (Op), scattata sulla base dei dati aggiornati a dicembre dello scorso anno.
Da questo calcolo resta fuori l'ortofrutta, l'unico settore più avanzato proprio perché gli incentivi comunitari transitano esclusivamente attraverso i piani operativi gestiti proprio dalle Op.

E' la conferma di un male antico dell'agricoltura italiana: la scarsa attitudine dei nostri agricoltori a organizzarsi e cercare di unire le forze per competere con maggior successo sui mercati, rafforzare il proprio potere contrattuale nei confronti degli altri anelli della filiera agroalimentare, realizzare quella capacità aggregazione dell’offerta che, se correttamente declinata, consente anche di conseguire importanti economie di scala.
Il fenomeno, come si diceva, non è nuovo, ma il ritardo con cui si sta percorrendo questa strada è inversamente proporzionale alla velocità con cui il quadro di riferimento è destinato a cambiare.
Ci riferiamo ovviamente alla nuova Politica agricola comune (Pac) la cui riforma si prepara a imboccare la dirittura d’arrivo. Se la prossima settimana il Parlamento europeo darà il via libera al compromesso sulle prospettive finanziarie raggiunto a inizio febbraio, tutto lascia pensare che si stringeranno i tempi per il negoziato che ridisegnerà in modo rivoluzionario i meccanismi di sostegno agli agricoltori europei.
E se anche ci dovesse essere uno stop provvisorio, la direzione di marcia per quel che riguarda la partita agricola è già comunque segnata. Al massimo ci sarà uno slittamento al 2015, poco male, un anno in più per riorganizzarsi.

Il nuovo corso della Pac punta dritto a una deregulation degli attuali incentivi e a un confronto sempre più diretto tra agricoltura e mercato.
E qual è l'arma per gli agricoltori europei messa sul tavolo dalla Commissione Ue e dal parlamento europeo? Le Organizzazioni dei produttori, appunto.
Del resto, la prova generale è stata già fatta con il cosiddetto pacchetto latte, che richiama espressamente la necessità di valorizzare le Op come strumento economico della parte agricola per fronteggiare le insidie di un mercato sempre più aperto e competitivo.
Concetto ribadito qualche giorno fa dallo stesso presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo, l’italiano Paolo De Castro, nel suo intervento al Forum per l’Agricoltura, assise di alto livello (organizzata in collaborazione con Syngenta e la European Landowners Organization che ha riunito intorno al tavolo esponenti di spicco come lo stesso presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso e il presidente della Banca mondiale, Robert Zoellick.

Di fronte alla debolezza negoziale della componente agricola, De Castro ha sottolineato “la necessità di accompagnare gli sforzi di regolamentazione del funzionamento della filiera con precise azioni di politica economica e l'aggregazione rappresenta la via maestra per aumentare il potere contrattuale degli agricoltori. Una convinzione che è diventata uno dei capisaldi della nostra visione del futuro della Pac che sarà votata in Aula la prossima settimana”.
Un segnale forte che le stesse organizzazioni agricole conoscono bene, ma per ora, le contromisure su questo punto si fermano all’invettiva: la solita richiesta di avere finanziamenti e incentivi finalizzati a favorire questa aggregazione.

Richiesta legittima, ma con i chiari di luna che l’austerità del bilancio europeo imporrà anche all’agricoltura, non sarà facile spuntarla. E se la scelta dovesse essere tra i pochi soldi, maledetti e subito, e un investimento sulle future aggregazioni, non abbiamo dubbi: la miopia dei vertici dei vertici dei sindacati agricoli agricole sceglierà l’uovo oggi invece della gallina domani.

A meno che l’input non venga dalla base degli agricoltori, rimuovendo il tradizionale individualismo per privilegiare la realizzazione di Op più robuste, con una massa critica di prodotto più importante e meno scartoffie burocratiche.
In sintesi, un modello di gestione più efficiente, in grado di ridurre gli squilibri all’interno della filiera, sia in termine di remunerazione della materia prima, sia in termini di economie di scala sul fronte dei costi produttivi e logistici.

Di buoni esempi, pochi per la verità, ce ne sono in giro anche in Italia: basta aprire gli occhi e guardarsi attorno per cercare di capire come imitare i più bravi.