Trent’anni, ma non li dimostra.

Lo scandalo delle multe latte non pagate dagli allevatori italiani per aver superato le quote latte produttive, assegnate all’Italia nel lontamo 1984, torna a tener banco e piomba come un macigno anche in questa campagna elettorale.
A riaccendere il riflettori sul più grande pasticciaccio italiano in mezzo secolo di Politica agricola comune, è stata la relazione della Corte dei Conti che ha denunciato il buco di 4,5 miliardi di euro a carico delle esangui casse pubbliche dello Stato italiano per l’inadempienza di un migliaio di ostinati allevatori.

Nulla di nuovo, visto che solo un mese fa la stessa Corte aveva già stigmatizzato il “buco nel latte”.
Ma cade a fagiolo in questa campagna elettorale del tutto contro tutti, per armare i microfoni del centro sinistra contro la Lega (sponsor politico dei cobas del latte): 4,5 miliardi? Più o meno il gettito della contestata Imu sulla prima casa e poco più del prestito concesso dal Governo al Monte dei Paschi di Siena, si replica dal centrodestra.

Ma per una strana combinazione numerica, questa cifra – cioè 4,5 miliardi di euro – è anche l’importo che l’Italia riceve in meno dall’Unione europea rispetto a quanto versa nelle casse comunitarie; deficit che fa del nostro Paese uno dei maggiori contribuenti netti.
Un nodo che sarà al centro dell’importante vertice che oggi e domani riunisce a Bruxelles i capi di Stato e di governo per cercare un onorevole compromesso sul budget 2014-2020 dell’Unione europea, dal quale dipende oltre al riequilibrio della partita doppia Italia-Bruxelles, anche il carburante finanziario per la riforma della Pac.

In tutta onestà, sarebbe troppo addossare alle multe latte tutto questo sbilanciamento, ma certo il suo contributo, anche se spalmato in più anni, il regime delle quote latte l’ha dato.

Non è un mistero, infatti, che a mano a mano che maturavano le scadenze, Bruxelles ha trattenuto alla fonte, sui flussi finanziari destinati all’Italia, l’equivalente importo delle multe evase. Oltre che in termini monetari, le infrazioni denunciate dalla Commissione Ue e le dure trattative che a intervalli regolari il governo Berlusconi ha dovuto fare al tavolo dei negoziati per mettere più di una pezza a questo pasticcio (un condono tombale, due maxi-rateizzazioni delle multe e altrettanti aumenti di quote di produzione) hanno indubbiamente comportato anche un prezzo politico molto pesante, indebolendo la posizione italiana su altri dossier altrettanto importanti per l’intera agricoltura.


Ma sul banco degli imputati, non c’è solo il latte

Scorrendo la lista delle “rettifiche finanziarie”, vale a dire i finanziamenti non riconosciuti da Bruxelles per irregolarità o carenza di controlli - stilati sempre dalla Corte dei Conti in riferimento ai rapporti finanziari tra Italia e Unione europea - c’è un altro conto molto salato: quasi 620 milioni di euro trattenuti nelle casse comunitarie nel quinquennio 2007-2011.

A questo salasso hanno contribuito in misura diversa un po’ tutti i, dagli aiuti all’olio d’oliva alla sciagurata ristrutturazione del settore bieticolo-saccarifero (lo chiamano così lo smantellamento dell’80% degli zuccherifici italiani!), dagli aiuti ai vigneti ai ritardi dei pagamenti diretti.
Peggio di noi – sentenzia la Corte - ha fatto solo la Grecia.

E anche questa volta possiamo consolarci.

Toccherà ora al presidente dimissionario Monti (e aspirante premier-bis alle prossime elezioni) mettere in campo al vertice europeo la “ritrovata credibilità” dell’Italia per riequilibrare il conto finanziario tra Italia ed Europa, compresa la dotazione agricola nel quadro della nuova Pac. Il presidente del Consiglio avrà al suo fianco anche il ministro delle Politiche agricole, Mario Catania, e questo è un buon segno, un riconoscimento alla centralità dell’agricoltura nelle trattative comunitarie.

Speriamo che i due supertecnici siano messi in condizione di condurre in porto questa importante missione politica.
Ma bisogna anche sperare che dopo, nei sette anni che seguiranno, ci sia altrettanto impegno perché questo patrimonio finanziario non si disperda per colpa di ulteriori inadempienze sulle multe latte o nei tanti rivoli delle rettifiche finanziarie.
Intanto, dalle organizzazioni agricole si alza il coro “veto!veto!”, l’arma di distruzione di negoziato in caso di compromesso ritenuto insufficiente rispetto alle legittime richieste dell’Italia.

Così il presidente della Coldiretti, Sergio Marini, che rievoca non a caso proprio lo spettro delle quote latte: “Se necessario bisogna porre il veto sul nuovo bilancio dell’Unione europea per riscattare i troppi errori del passato, come quello delle quote latte, provocato da un approccio approssimativo e dalla debolezza negoziale dell’Italia in Europa di cui paghiamo ancora le conseguenze ad oltre 30 anni di distanza”.
In verità c’è stato anche qualche peccato di applicazione in Italia, che chiamare approssimativo sarebbe un eufemismo, ma pazienza.

Stesso proclama da Giuseppe Politi: “Nessun compromesso al ribasso, di fronte a tagli indiscriminati meglio porre il veto”, indossando questa volta la casacca di presidente Cia e non quella part-time di presidente di Agrinsieme, il patto di rappresentanza stretto (fino a prova del contrario) con Confagricoltura e Alleanza cooperative.