C’è soddisfazione nel mondo agroalimentare italiano per la proclamazione della Dieta Mediterranea quale Patrimonio culturale dell’Umanità.
Risultato arrivato dopo un lavoro durato anni, che ha visto impegnarsi: nei confini patrii, in momenti diversi, due ministri, De Castro e Galan; un gruppo di lavoro internazionale formato da delegazioni di Spagna, Grecia e Marocco, con l’Italia a raccogliere la funzione di coordinamento inizialmente svolta dagli iberici; una comunità locale, il Cilento, e circa 50 associazioni culturali.
“Un successo – ha esultato Galanche mi riempie d’orgoglio”. “Adesso - ha commentato De Castro - possiamo festeggiare”.

L’Iter
La Convenzione Unesco sulla Promozione e Protezione del Patrimonio Culturale Immateriale è dell’ottobre 2003 e viene ratificata dall’Italia nel settembre 2007. Precedentemente, nel febbraio dello stesso anno, l’allora ministro Paolo De Castro sottoscrive con la sua omologa spagnola Elena Espinosa, la dichiarazione congiunta per la promozione della Dieta Mediterranea a tutela della qualità e della concorrenzialità delle proprie produzioni alimentari.
E’ l’antefatto della candidatura, la cui presentazione ufficiale, col sostegno di Italia-Spagna-Grecia-Marocco, arriva ad aprile 2008.
Nella primavera dell’anno successivo l’Unesco boccia il dossier, l’Italia quindi assume funzioni di coordinamento del gruppo di lavoro internazionale, prima guidato dalla Spagna: si decide di presentare un nuovo dossier di candidatura, che punta di più sulla Dieta come “stile di vita sostenibile” e viene presa a modello la comunità del Cilento.
Il 30 agosto 2009 il dossier viene di nuovo trasmesso all’Unesco. Un anno dopo arriva il primo parere positivo dal comitato di esperti dell’organizzazione, il 16 novembre 2010 la proclamazione ufficiale della Dieta Mediterranea come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità Unesco: prima pratica alimentare tradizionale in assoluto iscritta nella Lista Unesco, che ad oggi conta 166 elementi, da 132 Paesi diversi.

E’ la vittoria di una cultura, sottolinea Galan: “Formano una vera e propria ‘corona’ di Paesi in cui è vincente la cultura della dieta mediterranea: Italia, Grecia, Spagna e Marocco. Così dal cous cous si passa alla pasta o all’olio d’oliva, alle verdure o ai formaggi che tutti apprezziamo, e ci sarebbero ancora il nostro antichissimo farro, il riso, la polenta, i cereali”.

Un riconoscimento che andrebbe messo a frutto. Non con il marchio Unesco sui prodotti e gli alimenti (un’eresia che ha rischiato di far saltare la trattativa all’ultimo momento), ma usando la legittimazione delle Nazioni unite come una “leva”, per valorizzare l’agroalimentare dei Paesi del Mediterraneo. Un’opportunità, una spinta a fare sistema per tutta l’economia dell’area.

Non è che il vero gioco di squadra – tra categorie, portatori di interessi del mondo agricolo e governi del bacino del Mediterraneo – deve cominciare adesso?