Si beve di meno. Si sa. Si beve meglio. Si spera. Chi consuma, però, spesso conosce del vino che acquista solo l’etichetta, perché ignora del tutto o quasi ciò che sta dietro a quella etichetta, a quel vino, a quel territorio. I mercati, inoltre, dopo anni di euforia sono ritornati prudenti. Euforia che visto il tema, il vino, appare il termine più adeguato per commentare l’ormai passata fiammata nei prezzi di alcune Doc e Docg molto blasonate. Tranne che per le aziende di maggiori dimensioni e pregio, per una gran parte dei produttori ci sono difficoltà anche ingenti. Vi sono cantine che si sono indebitate in ragione del 90% della loro Plv, a causa di investimenti che poi non hanno dato gli adeguati ritorni. E il credito, si sa, in questi tempi non è quello che si può definire un fiume in piena. La mancanza di redditività sembra quindi essere il filo conduttore di molti degli argomenti trattati in occasione del convegno di Assoenologi Lazio, tenutasi il 10 dicembre a Roma. Evento sponsorizzato da Basf Italia e da Eno i e moderato da Arturo Diaconale (L’opinione delle libertà).
Fabio Giuseppe Lucchesi è un avvocato esperto in materie normative. Per Lucchesi appare vitale per i produttori conoscere con precisione gli obiettivi della nuova OCM vino e coordinarsi a livello locale per affrontare le problematiche quotidiane. L’incipit è lineare e semplice: in calo dal ’96 il mercato, con aumenti delle importazioni e stagnazione dell’export. Per uscire da questa situazione appare appropriato migliorare la competitività aziendale e rafforzare la notorietà dei nostri marchi attraverso l’adozione di regole semplici ed efficaci. Alcune misure tradizionali, come il sostegno alla distillazione e all’uso di mosti concentrati, andranno eliminate.
Giuseppe Martelli, direttore dell’Associazione Enologi ed Enotecnici Italiani, nonché presidente del Comitato Nazionale Vini, esordisce con uno slogan: “Potare le viti, ma anche i campanili”. Il riferimento alle concorrenze spicciole di scala microterritoriale appare evidente. Solo se uniti, infatti, i prodotti italiani possono vincere la partita sul mercato internazionale. “Le nuove strategie sconvolgeranno il nostro mondo” – prosegue Martelli – “e che sia chiaro a tutti che fino alla prossima OCM non si cambia più”. E’ necessario quindi sapere che le strategie dovranno essere improntate nel presente e nell’immediato futuro sulle nuove regole eurtocomunitarie. Necessità quindi di adattare anche le regole di comportamento locale. Le Dop, nel nuovo assetto, conterranno sia le Doc che le Docg, mentre le Igt scompariranno, sostitute dalle Igp. Le vecchie diciture potranno comunque rimanere citate in etichetta, ma non avranno più la valenza del passato. Sparisce il vino da tavola: rimarrà solo la qualifica di “vino”, e sull’etichetta sarà possibile indicare solo l’annata e il vitigno, a patto che l’85% delle uve sia stato prodotto nell’annata indicata e che l’85% sia davvero proveniente da quel vitigno.
Le Dop (Vqprd) saranno 363 (44 Docg e 319 Doc), pari al 33% della produzione nazionale. Le Igp (ex-Igt) sono 119 e rappresentano il 27% delle produzioni. L’attuale “vino da tavola” rappresenta il restante 40% delle produzioni. Cambia inoltre la procedura per il riconoscimento di una nuova denominazione o per la modifica di un disciplinare di produzione. “La domanda” – spiega Martelli – “va presentata prima al ministero, il quale potrà esprimere solo un parere; poi passerà in sede eurocomunitaria, che avrà l’ultima parola sull’accettazione o il respingimento della domanda”. Tutte le pratiche presentate entro il 1 agosto 2009, però, verranno valutate come in passato. Dal 1 agosto dovranno essere inviate invece a Bruxelles. Come era lecito aspettarsi, ben 320 pratiche sono quindi arrivate al ministero prima del 1° agosto, al fine di anticipare questo cambio epocale e avvalersi ancora delle procedure antecedenti. Il risultato della fretta è stato palpabile: 302 domande su 320 appaiono incomplete e dovranno essere presto integrate, pena il decadimento. Se entro il 30 aprile 2010 ciò non dovesse avvenire, le pratiche incomplete verranno scartate. Le attuali Doc, Docg e Igt ritenute complete verrano iscritte invece dalla commissione nel registro della commissione europea, purché lo Stato membro esprima pareri sulle pratiche giacenti entro il 31 dicembre 2011. Bruxelles valuterà quindi i fascicoli e avrà tempo fino al 31 dicembre 2014 per giudicare la conformità delle domande con la legge Eurocomunitaria. Su 366 Doc qualcuna verrà con ogni probabilità rifiutata: qualche produttore si troverà perciò in qualche momento critico difficilmente risolvibile. “Vi è spesso una discrepanza tra ciò che viene richiesto dai produttori e chi li rappresenta” – lamenta Martelli.
“L’Italia ha fatto tante proposte” – riprende il presidente – “poche son passate. Le regole le hanno fatte cioè più i Paesi consumatori che non i Produttori”. Una delle colonne della nuova Ocm è il concetto di “protezione”, concetto che vuole che tutti i Paesi UE si muovano come fossero un solo Stato. E’ però un’arma a doppio taglio: la protezione è massima se nel nome della Dop e Igp c’è il nome “geografico”, come per esempio il Brunello di Montalcino, ma nel caso invece nella dicitura vi sia solo il riferimento al vitigno, questo non sarà tutelato. Il nome “Barbera” per esempio resta libero. Potrebbe capitare cioè di avere un Barbera prodotto in Francia. Altra protezione di interesse per l’Italia è quella sui nomi “tradizionali” come per esempio il Gutturnio o l’Amarone. I controlli dovranno essere svolti da un’autorità di controllo ufficiale nazionale (in Italia la Icq = repressione frodi). Questa potrà delegare elementi terzi a svolgere i controlli. Colpo quindi per i consorzi di tutela, che non potranno più essere i responsabili dei controlli. Al limite potranno proporre e suggerire all’Icq gli organismi di controllo a cui rivolgersi.
Diverse sono poi le modifiche richieste alla legge 164/92, come la sburocratizzazione e la semplificazione delle procedure; la concentrazione delle funzioni di reperimento dati attraverso i servizi centralizzati del Sian (Sistema informativo agricolo nazionale); la semplificazione delle procedure con il diretto rapporto ettaro/vino (e non più uva/ettaro); lo snellimento del comitato nazionale vini e delle sue funzioni. Altri due punti proposti per la modifica della 164/92 sono l’eliminazione degli albi dei vigneti e dell’elenco delle vigne, facendo quindi riferimento solo alle unità vitate (schedario viticolo). Richiesta anche l’eliminazione dell’albo degli imbottigliatori.
Gabriele Canali (Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza) porta la visione dell’economista. “Nei momenti di cambiamento” – sottolinea Canali – “diviene decisivo alzare lo sguardo e non cedere alla tentazione di limitarsi al trimestre commerciale”. Ma è necessario avere gli strumenti per farlo: si è passati dalla PAC del ’57 (trattato di Roma),alla riforma Mac Sharry del ’92 (PAC legata alla coltura), all’Agenda 2000, alla riforma Fishler del 2003 fino alla Ocm 2007 e all’Heakth Check del 2008. Ciò che siamo ora, in sintesi, è frutto delle politiche del passato. La direzione del processo di riforma è oggi finalizzata verso il sostegno disaccoppiato ai redditi degli agricoltori; sistema che riduce al minimo ogni intervento diretto sui mercati agro-alimentari, in particolare sulle restrizioni quantitative. Inevitabilmente, la variabilità dei prezzi sarà maggiore in futuro. Non sarà più solo la stagione e il clima a influire, quindi, ma anche e soprattutto il mercato. Attualmente, in volume appare una diminuzione del saldo netto negli scambi UE-Extra UE. In valore il saldo è invece positivo di circa 2 miliardi di euro. Si importano cioè vini di costo medio basso mentre si esportano vini a prezzi medio alti e alti. Le sfide del futuro: sempre più obbligatoria l’imprendintorialità dell’azienda vitivinicola: non si può più produrre e poi dare all’uomo del marketing il prodotto da vendere, bensì bisogna produrre ciò che il mercato vuole. E’ necessario preparare brand forti e identificabili, accettando le sfide estere. L’immagine del vino italiano non è più quello di soli 10 anni fa, anche grazie all’ottimo rapporto qualità/prezzo rispetto a Paesi concorrenti. I nuovi Paesi produttori, come l’Australia o altri, si sono scontrati con la dura legge del mercato e hanno pagato dazio dopo una partenza bruciante. La loro grande potenzialità produttiva non è bastata per vincere la battaglia globale dei mercati.