L'Oms (Organizzazione mondiale della Sanità) ha deciso, la nuova influenza è una pandemia e il livello di allerta è stato portato a 6, il massimo. Il perché sta nella diffusione del virus, che sarebbe presente in 74 diverse nazioni, e nel numero di casi (35.928). Che non ci sembrano poi molti, tenuto conto che a rischio contagio sarebbero molti milioni (o miliardi?) di persone. Nelle comunicazioni ufficiali si legge però che il virus non è particolarmente aggressivo e che la mortalità è bassa (163 casi in tutto, escluso quello registrato in Scozia, ma forse dovuto ad altre cause). Perché allora l'allerta è al massimo livello? Il motivo , come detto, pare essere la presenza del virus in così tanti paesi. Ma se un giorno, speriamo mai, arriverà un virus davvero pericoloso come faremo? Ci inventeremo il livello 7, che ancora non esiste? Vedremo. Intanto sui giornali la decisione dell'Oms ha trovato subito (e chi ne dubitava...) grande enfasi. Saranno contenti i produttori di farmaci e vaccini. In molti casi si è parlato, correttamente, di “nuova influenza” oppure di virus AH1N1, ma in qualche caso i mezzi di informazione sono “scivolati” sulla non corretta definizione di “influenza suina”. Cosa che è stata stigmatizzata dal presidente dei suinicoltori italiani (Anas), Giandomenico Gusmaroli. “In un momento come questo – ha detto Gusmaroli - anche i particolari fanno la differenza. Per molto meno, le multinazionali avviano cause miliardarie. Non è il nostro caso, ma chiediamo perché, dopo che le massime autorità mondiali della salute hanno scagionato il suino, si continui ad utilizzare questa definizione”.
Suinicoltori preoccupati
Le preoccupazioni del presidente dei suinicoltori nascono dal fondato timore che il consumatore possa erroneamente abbinare la paura dell'influenza con il consumo delle carni suine. In questo settore, già alle prese con una lunga e pesante crisi, anche un modesto calo dei consumi potrebbe infatti avere ripercussioni molto pesanti. Lo ribadisce anche Confagricoltura che in un suo comunicato "ribadisce la necessità di interventi a sostegno dei corsi economici del comparto".
Che ne è del “tavolo”?
Con o senza l'influenza (che non è suina...) per la suinicoltura italiana si fa sempre più pressante l'attivazione degli interventi messi a punto nel tavolo di filiera ormai qualche mese fa (si veda anche quanto scritto in proposito da Agronotizie). Fra i vari punti vi è certamente l'avvio della campagna di promozione al consumo delle carni suine e l'inizio, si spera definitivo, delle attività della commissione unica per la fissazione del prezzo di mercato. Ma non meno importanti saranno le politiche si sostegno all'etichettatura del prodotto, con l'indicazione della provenienza della materia prima. A chiederlo non sono solo i suinicoltori, ma anche altri importanti “pezzi” della filiera agroalimentare. Che dovranno però vedersela con le industrie di trasformazione, che di indicare nell'etichetta dei loro prodotti la provenienza non vogliono proprio saperne. Un braccio di ferro che solo con molta fatica potrà risolversi a favore dei produttori, nonostante le rassicurazioni che in questa direzione giungono dal ministero dell'Agricoltura.