L'idea è di AgriRegioniEuropa. Chiuso l'Health Check, ha aperto una riflessione sulla PAC per il 'dopo 2013'. Riportiamo il link al sondaggio on line e l'inizio dell'articolo di apertura della newsletter inviata nel corso del mese di dicembre 2008 dall'Associazione "Alessandro Bartola" - Studi e ricerche di economia e di politica agraria.

Articolo a cura di Franco Sotte

 

Introduzione

Dopo un laborioso processo durato un anno esatto, il 20 novembre scorso si è concluso l’Health Check (HC) della PAC. Doveva trattarsi, secondo le parole del Commissario all’agricoltura, signora Fischer Böel, “[…] di una messa a punto delle riforme del 2003 e di un contributo alla discussione sulle future priorità nel campo dell'agricoltura” (Commissione europea, 2007).
Questo articolo intende sollecitare una riflessione collettiva. L’analisi non entrerà nei dettagli tecnici delle complesse decisioni assunte con il documento conclusivo dell’HC. A questo scopo si rinvia all’ottima e, come sempre, accurata sintesi contenuta in questo stesso numero di Agriregionieuropa nella Finestra sulla PAC (Pupo D’Andrea, 2008). Gli obiettivi di questo articolo sono due: (a) esaminare come, con il compromesso definitivo dell’HC, si sia effettivamente completata la riforma Fischler; (b) valutare se e come le conclusioni dell’HC contribuiscano a definire i caratteri di una PAC convincente e sostenibile per dopo il 2013 e ad assicurarle una adeguata dotazione finanziaria nella Revisione di Bilancio (Budget Review), attualmente in svolgimento, e nelle successive decisioni (prevedibilmente entro il 2012) sulle future prospettive finanziarie.

L’Health Check ha completato la riforma Fischler?

Per rispondere al primo quesito può essere utile riprendere le trame della riforma del 2003. Seppure avviata come semplice “Revisione di medio termine” di Agenda 2000, la riforma Fischler ha ricevuto commenti particolarmente favorevoli per l’equilibrio complessivo della soluzione adottata. Da un lato, si realizzava una volta per tutte il disaccoppiamento tra politiche e produzioni agricole (salvo residui casi di accoppiamento da eliminare con il tempo); dall’altro, con il pagamento unico aziendale (PUA) si individuava una soluzione non penalizzante per coloro che, seguendo le indicazioni della PAC fino ad allora vigente, avevano investito nei comparti produttivi i cui prezzi non sarebbero più stati sostenuti.
Il giudizio decisamente positivo sulla riforma Fischler era dunque connesso alla sua capacità di liberare senza traumi l’agricoltura dal condizionamento di una politica che, alterando artificialmente i segnali del mercato, costruiva posizioni di rendita che ostacolavano l’esercizio dell’impresa e il turnover generazionale; aveva effetti distributivi distorti, beneficiando un limitato numero di imprese e territori già più dotati a danno di altri in ritardo strutturale; ostacolava i processi di integrazione europea (specie a scapito dei nuovi Stati membri); opponeva l’Europa al resto del mondo, in un contesto internazionale di allargamento e di apertura dei mercati. Ma è evidente che la soluzione individuata aveva, e non poteva non avere, un carattere transitorio.
Fin dalle proposte iniziali, non si può dire che l’HC della PAC abbia avuto a riferimento questa natura transitoria, che certamente aveva ispirato la riforma Fischler. Basti osservare come il documento di avvio fosse sostanzialmente concentrato sul primo pilastro, non affrontando che indirettamente e in modo disorganico il secondo. Nonostante le affermazioni della Fischer Böel, infatti : “Lo sviluppo rurale deve fare parte del cosiddetto Health Check della PAC” (Fischer Böel, 2007 a); “rural development policy … this is where music is playing” (Fischer Böel, 2007 b), mancava una analisi dello stato di salute del secondo pilastro, pur essendo anch’esso in una fase particolarmente critica di lento e problematico avvio: all’epoca (novembre 2007) si era alla fine del primo anno del periodo di programmazione 2007-2013, e molte Regioni (o Stati membri) in Europa dovevano ancora dotarsi dei PSR; oggi, alla fine del secondo, ancora per il 40% delle misure, mancano in Italia i relativi bandi (la situazione in Europa non è migliore).
Non di rado, peraltro, le Regioni si mostrano più sollecite nell’attivazione delle misure più facili da amministrare, trascurando o procrastinando quelle più complesse, ma al tempo stesso più innovative e qualificanti. In altre parole, si dedicherebbe più attenzione a spendere, non importa come, tutte le risorse rese disponibili da Bruxelles, che a spenderle bene, selettivamente e con una visione strategica. Il rischio è che prevalga, come denunciato in passato dalla Corte dei Conti europea (European Court of Auditors, 2006), una pericolosa logica distributiva, poco attenta alla selezione, concentrazione e finalizzazione degli interventi, e quindi all’efficienza e all’efficacia dell’intera politica.
D’altra parte, la proposta iniziale di incremento della modulazione (dal 5% al 13% a regime) poteva essere considerata già relativamente modesta, alla luce del 20% proposto originariamente da Fischler nel 2002 (se si trattava di completare la sua riforma, perché mirare più in basso, dopo che cinque anni erano già passati?). Quanto poi alle cosiddette “nuove sfide” (cambiamento climatico, biodiversità, bioenergia e gestione delle risorse idriche) ci si limitava a farne l’elenco, nonostante sia proprio su di esse che può fare leva una proposta credibile per la futura politica agricola europea. C’erano infine, in alcuni passi, dei rinvii al secondo pilastro di problemi che venivano ad aprirsi completando la riforma del primo: la questione degli allevamenti da latte in montagna in relazione alla fine delle quote, gli effetti ambientali della soppressione del set-aside, e così via.
Quanto al primo pilastro, i contenuti della proposta iniziale erano più coraggiosamente ed esplicitamente rivolti al completamento della riforma del 2003: pieno disaccoppiamento, regionalizzazione obbligatoria, limiti minimi e massimi ai PUA individuali, fine delle misure di controllo dell’offerta, potenziamento dell’ex art. 69, semplificazione della condizionalità. Se, alla luce di questi presupposti, si giudicano ora i risultati finali del Consiglio agricolo del 20 novembre, si può concludere che la Fischer Böel sia riuscita a difendere abbastanza bene la sua proposta. Praticamente in ogni punto negoziale ha ottenuto qualcosa. Ma, mentre su quote latte, abolizione delle misure di mercato, completamento del disaccoppiamento e, anche, modulazione ha ceduto relativamente poco, su altri punti, specie sulla regionalizzazione passata da obbligatoria a facoltativa, che costituiva uno degli aspetti qualificanti della proposta, tutto resterà di fatto come prima. Su altri punti ancora, si pensi al nuovo art. 68 o al tema delle misure di accompagnamento per il settore lattiero aggiunte allo sviluppo rurale, il compromesso ha prodotto soluzioni ambigue, oppure, come nel caso del prelievo aggiuntivo del 4% oltre i 300 mila euro, si è introdotto il principio di un limite massimo, ma con effetti pratici poco rilevanti.
In sostanza, promuovendo un confronto low profile, tutto interno agli interessi agricoli, e catalizzando l’HC sul primo pilastro, la Fischer Böel ha promosso dei cambiamenti che, date le premesse e le proposte iniziali, possono pur apparire abbastanza soddisfacenti. D’altra parte, si trattava di vincere delle resistenze molto agguerrite. Si può quindi concludere che il primo obiettivo dichiarato dell’HC, quello “di una messa a punto delle riforme del 2003”, sia stato bene o male raggiunto.

 

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