L’agricoltura italiana affronterà questo importante appuntamento con estrema serenità e con la convinzione che la Pac vada sostenuta, difesa e legittimata agli occhi dei 450 milioni di cittadini europei, perché resta un ottimo strumento di gestione delle crisi e delle politiche dei prezzi, oltre ad avere un ruolo fondamentale nella gestione dell'ambiente e delle emergenze climatiche. Questo va spiegato tanto ai cittadini quanto alla Banca Centrale Europea, ingiustamente critica nei confronti della Politica agricola comune. In molte situazioni di emergenza la Pac è servita da ago della bilancia. Si pensi alla sospensione momentanea dei dazi e alla misura sul set - aside, le cui positive ricadute sui prezzi sono riconosciute e riscontrabili. O, ancora, alla proposta di aumento delle quote latte che accoglierebbe le giuste richieste degli allevatori ma anche quelle dei consumatori, che potrebbero così riscontrare una riduzione dei costi al consumo del latte.
Dal 1° aprile prossimo l’Unione europea aumenterà in misura lineare del 2% le quote latte. Quali riflessi sul comparto lattiero caseario? Quanto è concreta l’ipotesi dell’abolizione del sistema delle quote latte a partire dal 2015?
Il primo importante riflesso è che gli allevatori italiani potranno contare sulla possibilità di produrre dalla prossima campagna fino a 10,74 milioni di tonnellate di latte e il prezzo di questo prodotto nella Ue dovrebbe diminuire del 4%. Per l'Europa si tratta del primo passo nel processo di revisione e di aumento del meccanismo delle quote latte, un passo che avrà l’effetto di una profonda boccata d'ossigeno sia per i produttori che per i consumatori. Basti pensare che gli allevatori italiani dovranno versare alle casse europee per le eccedenze di latte prodotte nel periodo 2006-2007, multe per oltre 176 milioni di euro. Da parte nostra non possiamo che essere soddisfatti, visto che l'incremento delle quote, nel rispetto delle regole, è quanto auspicavamo da tempo.
Le prospettive del mercato lattiero appaiono quindi veramente molto favorevoli. Nei prossimi anni l'Europa potrebbe aver bisogno di otto milioni di tonnellate supplementari di latte per soddisfare la crescita della domanda interna, cioè 1,75 milioni di tonnellate per fronteggiare il consumo di prodotti lattieri freschi e altri 6,2 milioni per assicurare l'aumento dei consumi di formaggi. E il settore lattiero europeo si deve preparare ai grandi cambiamenti in atto, anche in vista della fine del sistema delle quote latte, comunque fissata, secondo gli auspici di Bruxelles, per il 31 marzo 2015.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti e da tutti riconosciuti. 24 miliardi di euro di export agroalimentare ci inorgogliscono e sono la conferma della validità del sistema italiano, che premia la qualità e la trasparenza e cerca il confronto con l’estero proprio su questo terreno. L’Italia vanta un primato, in termini di Dop e Igp. Un primato che non è solo tradizione e storia dell’enogastronomia italiana, ma anche potenzialità economica, vista l’attenzione e la domanda di Made in Italy proveniente dall’estero. Forti dei risultati ottenuti finora, dobbiamo proporre e difendere il nostro sistema fuori dai confini nazionali.
La vendita diretta da parte degli agricoltori è una forma di commercializzazione in rapida diffusione in tutte le economie avanzate. Costituisce un’integrazione del reddito per le imprese coinvolte ed è anche un veicolo di qualificazione del rapporto fra agricoltori e cittadini – consumatori. Già con la Finanziaria 2007 il Governo Prodi ha voluto imprimere un’accelerazione allo sviluppo della vendita diretta in Italia. Ha così innalzato i limiti economici per la stessa vendita (160 mila euro per le persone fisiche e 4 milioni di euro per le società) e ha stabilito la necessità di promuovere, con uno specifico decreto attuativo, i mercati a vendita diretta degli imprenditori agricoli. I risultati che si possono ottenere testimoniano che si tratta, per gli agricoltori, di una opportunità concreta, e non presunta: entro il 2008, si stima apriranno fino a 100 nuovi mercati, coinvolgendo fino a 2000 imprese agricole. A regime, nel 2010, i mercati attivi potrebbero essere anche 500 con 6000 – 8000 imprese coinvolte.
Credo che non si possa puntare tutto su un’unica forma di energia rinnovabile, ma occorra programmare lo sviluppo energetico ed infrastrutturale in base alle caratteristiche del territorio di riferimento. Detto questo, le bioenergie sono certamente una fra le fonti di energia rinnovabile cui l’agricoltura può attingere. E in questo senso la Finanziaria 2008 ha fatto grandi passi avanti. Penso senz’altro ai certificati verdi. E’ stata definita la revisione dei certificati derivanti da biomasse agricole, in particolare, la produzione di energia elettrica da biomassa di origine agricola in filiera corta (entro 70 km) o da intese di filiera. Quest’ultima viene incentivata con l’introduzione di un coefficiente di maggiorazione (1,8) dei certificati attribuiti e durata del diritto estesa a 15 anni. Per i biocarburanti invece, è prima di tutto previsto l’incremento dell’obbligo di immissione in consumo al 3% dal 2009. Inoltre, la procedura per l’incremento dell’obbligo per raggiungere gli obiettivi comunitari è stata semplificata e potrà avvenire per decreto senza ricorrere ad una norma primaria. Altro aspetto importante è la possibilità di assegnare, dietro presentazione di cauzione, anche le quote di biodiesel di filiera previste dalla Finanziaria 2007. In altre parole questa norma permette di sbloccare l’immissione in consumo delle oltre 40.000 tonnellate di biodiesel ottenuto dalla filiera agricola nazionale nel 2007. Infine, ma non meno importante, il bioetanolo. E’ stata infatti approvata la norma che consente di non perdere le risorse 2007 del programma di defiscalizzazione. Un fatto molto importante perchè consentirà di rendere operativa l’approvazione ottenuta in extremis ad ottobre dello scorso anno per il programma “bioetanolo”.
Vi è poi il capitolo della generazione diffusa. Su questo fronte, sono due le novità importanti. La prima è l’introduzione del “conto energia” (tariffa omnicomprensiva 0,3 €/Kwh) per gli impianti a biomassa agricola di piccola taglia (1 MW). In pratica il “piccolo produttore”, all’atto della richiesta al GRTN, potrà optare per l’emissione dei certificati verdi oppure per la tariffa. Tale tariffa sarà applicata su tutta l’energia ceduta alla rete. In caso di autoconsumo, viceversa, il produttore potrà ottenere i certificati sull’energia prodotta e beneficiare del risparmio del mancato acquisto di energia dalla rete.
Sempre nel capitolo “generazione diffusa”, per promuovere l’impiego degli oli puri come carburanti nelle imprese agricole, viene introdotta una deroga alla norma del deposito fiscale per autoconsumo di oli vegetali puri nelle imprese agricole, fino al volume di 5 tonnellate.
Gli interventi descritti delineano un quadro complessivo che dovrà necessariamente aprirsi a miglioramenti futuri, sia per assicurare il raggiungimento degli obiettivi comunitari sia per migliorare la correlazione con le effettive ricadute ambientali di tali politiche. In ogni caso ora si può finalmente affermare che anche in Italia si dispone di un quadro chiaro di politiche e strumenti per lo sviluppo del settore agroenergetico.
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Fonte: Veronafiere