Cosa succede all'India, la superpotenza che è, a suon di numeri, il primo paese al mondo per la produzione di latte, con 170 milioni di tonnellate di materia prima prodotta ogni anno?

La situazione che si sta vivendo nel subcontinente indiano è preoccupante per i produttori, stritolati da un lato dal crollo dei prezzi del latte crudo e dall'altro dall'impennata del costo dei foraggi. Due fattori che, combinati, stanno oscurando le ambizioni di un paese che, solo un anno e mezzo fa, sollecitava il Wto a trovare intese per azzerare o ridurre i dazi, in modo che Nuova Delhi potesse attuare le proprie politiche di espansione anche nel settore lattiero caseario, caratterizzato tradizionalmente da un equilibrio fra domanda interna, produzione e consumi.
Un quadro non proprio roseo, inserito fra l'altro in una cornice di tensioni sociali che nei mesi scorsi hanno portato a sfilare migliaia di agricoltori contro il governo centrale, reo - secondo i manifestanti - di non assicurare adeguata attenzione a una delle principali voci dell'economia del paese.

Inoltre, ad aumentare le tensioni economiche, vi sono anche risvolti religiosi. Si sta diffondendo, in alcune regioni, il fenomeno del "cow vigilantism": sedicenti "vigilantes" indù vagano per le strade del Nord dell'India con l'intento dichiarato di proteggere le vacche (considerate sacre), a cui si aggiunge quello meno palese, ma altrettanto animoso, di punire la popolazione musulmana. Questo rende molto difficile la convivenza e l'attività dell'allevamento.

L'India continente del latte si trova ora a un bivio. L'oro bianco ha rappresentato per molti anni un'àncora di salvezza per decine di piccoli agricoltori indiani: basti pensare che, secondo il National dairy development board, la produzione di latte del paese è cresciuta del 6,3% all'anno nel periodo 2014-18. Tuttavia, il salto produttivo non è stato seguito da un'adeguata politica di assorbimento del surplus. Di solito il latte in eccesso veniva acquistato e convertito in latte scremato in polvere (Smp) per essere venduto sul mercato internazionale; ma anche il prezzo globale della Smp ha finito per diminuire, passando da 3.519 dollari per tonnellata nel 2014 a 1.959 dollari nel 2018. Un ribasso che non ha certo portato alla riduzione dei magazzini (anzi, l'esatto contrario), ma ha fatto scendere i prezzi nel mercato interno.

Molti agricoltori danneggiati sono dunque scesi in strada, come ricordato, manifestando a giugno e ad agosto di quest'anno, dopo che i prezzi all'ingrosso del latte vaccino erano precipitati addirittura al di sotto del costo dell'acqua in bottiglia (Fonte: DownToEarth.org). In alcuni distretti, i contadini hanno svuotato interi fusti di latte sulle strade. "Il prezzo di approvvigionamento del latte nel mio distretto è sceso dalle 28-32 rupie di tre anni fa alle 15-20 rupie di quest'anno, mentre il costo di produzione resta superiore alle 32 rupie - afferma H Venkanna Reddy, un agricoltore del distretto di Jangaon -. Il mio guadagno si è dimezzato negli ultimi tre anni".

Come riporta la piattaforma di informazione online Business Standard, una soluzione potrebbe arrivare dalla creazione di nuova domanda attraverso la redistribuzione del surplus.
"Se il governo acquista un certo quantitativo di Smp da aziende e cooperative e lo distribuisce attraverso il piano pasti nelle scuole del paese oppure lo invia all'Africa come aiuto, il problema può dirsi risolto", propone Pushpendra Singh, leader del Kisan shakti sangh, un'organizzazione agricola. Ma non è così semplice. Il timore nei confronti dei "cow vigilantes", colpevoli a quanto dicono le cronache di linciaggi e attacchi ad autocarri che trasportano bestiame (l'ultimo episodio risale al 3 dicembre scorso), ha fatto schizzare in alto il prezzo dei capi in tutto il paese. Inoltre, nessuno è disposto ad assumersi il rischio di trasportare su strada intere mandrie.
"In passato eravamo abituati a vendere le vacche vecchie e i bufali ai macelli, in cambio di soldi da investire nell'acquisto di nuovi capi sani - racconta Pushpendra Singh -. Oggi nessuno vuole farsi carico degli animali a fine carriera, così siamo costretti ad abbandonarli perché non possiamo permetterci di continuare a dar loro da mangiare".

Di questo passo, il futuro sembra segnato: se la domanda non tornerà a crescere, a rimetterci saranno in primo luogo gli agricoltori, ma ne risentirà pesantemente anche il bestiame, che finirà per essere sottoalimentato, con gravi ripercussioni in termini di produzione.
"È tempo che i governi innalzino gli standard di benessere del bestiame - afferma Jurgen Maier del Forum ambiente e sviluppo di Berlino, che difende i diritti degli agricoltori -. Ciò fermerà la sovrapproduzione di latte e invertirà la tendenza dell'offerta. Vi è anche l'urgente necessità di ristabilire un mercato locale, in cui gli agricoltori possano vendere direttamente ai consumatori".

Sulla stessa linea Sagari Ramdas, della Food sovereignty alliance, con sede in India, autore del rapporto "La crisi del latte in India: la storia dietro i numeri". "La pratica tradizionale dell'India di fornire direttamente latte ai consumatori - dichiara Sagari Ramdas - va proseguita e sostenuta: è proprio questo che ha reso il settore lattiero caseario indiano sostenibile. La riprova arriva da quel 75% dei produttori di latte del paese che lavora nel settore non organizzato e che prospera, nonostante la crisi. I piccoli produttori di latte devono organizzarsi in collettivi non centralizzati e localizzati, che si colleghino direttamente ai consumatori. Ciò li aiuterà a stare lontano da un sistema globale estremamente volatile e vulnerabile".

Una cosa sembra però certa: se il governo centrale non interverrà tempestivamente per sostenere il comparto lattiero caseario, l'India rischia di perdere uno dei settori più brillanti della sua economia.