Recentemente in Francia Lactalis è finita nel mirino della giornalista Veronique Richez-Lerouge, sostenitrice della diversità dei formaggi francesi, che ha denunciato l'egemonia crescente delle multinazionali del latte sui formaggi Dop.
L'inchiesta, di cui dà notizia anche il quotidiano Le Figaro, è partita dalla cronaca e dall'acquisto da parte del gruppo di Laval dell'azienda Graindorge, uno degli ultimi produttori di camembert al latte crudo Dop.
Nessuna invettiva contro l'industria in quanto categoria, ma una pallottola assestata contro Lactalis e altri grandi gruppi privati o cooperativi (Sodiaal, Savencia, Eurial), colpevoli, secondo Veronique Richez-Lerouge, di ricorrere sistematicamente alla pastorizzazione (peraltro autorizzata dalla maggior parte dei capitolati d'oneri Dop), trascinando verso il basso la qualità di questi formaggi. Così riporta Le Figaro.
Un j'accuse rivolto a ben vedere da un lato contro il sistema delle Dop, "un sistema geniale che all'origine ha permesso ad intere filiere di svilupparsi, ma che non assolve più alla sua funzione di protezione" e dall'altro appunto contro chi lavora ingenti quantitativi di materia prima. "La storia mostra che è impossibile conciliare una logica dei volumi, quella delle multinazionali, e il mantenimento della qualità", accusa Richez-Lerouge.
Tralasciando il dibattito legato al ruolo delle Dop, alle finalità e alle funzioni, per i quali non sappiamo bene quanto siano diversi i modelli in Francia e in Italia, è forse doveroso se non intonare un peana a Lactalis, sempre molto rigida nelle fasi negoziali con i produttori, quantomeno abbozzare una difesa di un gruppo che forse non ne ha bisogno, ma che qualche merito lo deve per forza avere.
Se non altro perché in Italia, con i marchi Parmalat, Galbani e Invernizzi, lavora 1 milione di tonnellate all'anno. Quasi il 9% del latte nazionale. Questo significa muovere denaro e creare occupazione.
Seppure aspra nei confronti contrattuali, bisogna riconoscere che l'ultimo contratto sottoscritto da Lactalis ha trovato il gradimento dei produttori latte. In Italia Lactalis per ora non ha puntato sulle produzioni Dop. E' un business che ha lasciato ad altri anche se, attraverso Parmalat, a fine 2015 ha rilevato Latterie friulane, che produce Montasio. In quel frangente, i francesi avevano annunciato che avrebbero utilizzato la forza del gruppo per portare il formaggio friulano a Denominazione d'origine nel mondo.
Nel 2016, in base ai dati Clal.it, il Montasio, che nei codici doganali è legato ad Asiago, Caciocavallo e Ragusano, ha incrementato le esportazioni, superando (come detto in compagnia di altri formaggi nazionali Dop) il tetto delle 2mila tonnellate. Poco, e col paradosso che in Francia le performance 2016 sono risultate inferiori rispetto all'anno precedente, ma il punto è un altro.
E se il sistema Italia, orfano di piattaforme organizzate per l'export, senza adeguati magazzini di stoccaggio all'estero né poli logistici o di distribuzione organizzata, chiedesse aiuto a Lactalis e ai suoi 228 stabilimenti nel mondo? Non ovviamente per produrre dei formaggi Dop, che hanno rigidi disciplinari che definiscono i confini produttivi territoriali, ma per utilizzarli come hub per l'estero. Siamo sicuri che Lactalis si rifiuterebbe di perdere l'opportunità di fare business e diversificare le azioni e il panel di prodotti commerciali? Sarebbe così irriconoscente con gli allevatori italiani, che conferiscono un milione di tonnellate di latte?
La cooperazione deve prevalere sulla competizione. Lo scenario attuale impone di superare la conflittualità, richiede di fare accordi di settore, di fare squadra. Il dialogo e il rispetto reciproco sono alla base di operazioni vantaggiose per la filiera e per il consumatore, che richiede prodotti di qualità, ottenuti con processi sostenibili sul piano economico, ambientale e sociale.
Il demonio non ha il volto di Besnier e la contrapposizione ai "padroni" è una logica antiquata, polverosa e, per fortuna, bocciata dalla storia.