“Rispetto agli anni passati, dove si poteva anche essere alle prese con un vuoto legislativo – commenta – la situazione oggi è migliorata: l’articolo 62 e le norme contenute nel Pacchetto Latte consentono una contrattualizzazione chiara del prodotto. Eppure, assistiamo oggi a contratti in essere in cui è indicato un prezzo di vendita del latte unilaterale. Così non va affatto bene”.
Le ragioni di questo ostruzionismo in fase negoziale, Prandini le spiega così: “La parte industriale non si siede al tavolo di trattativa, sapendo quali sono oggi i prezzi all’estero e la conseguente valorizzazione dei derivati del latte. In questa condizione non possiamo fare sconti o accettare prezzi al ribasso, un accordo dignitoso diventa vitale per il futuro delle stesse imprese agricole”.
Presidente Prandini, quale potrebbe essere un prezzo accettabile, per la parte agricola?
“Se parliamo di latte spot oggi il valore è di 45 centesimi. Non dico che dobbiamo fotografare la situazione in questo momento, ma sicuramente dobbiamo arrivare alla definizione di un prezzo di medio periodo che vada da qui fino alla fine dell’anno. E le prospettive sono di una crescita del prezzo del latte”.
Cosa pensa della “riflessione aperta” del presidente della Cia Lombardia, Mario Lanzi, sulla possibilità di convocare il tavolo interprofessionale del latte e trattare per singoli segmenti produttivi (latte alimentare, latte destinato alle produzioni Dop, latte per i formaggi freschi)?
“Non condivido. Abbiamo bisogno di risposte rapide. Gli allevatori chiedono certezze e giocare su più tavoli per definire i prezzi per ogni singola destinazione produttiva porterebbe via troppo tempo. E poi, ad oggi, non vedo una grande differenza fra i prodotti caseari Dop e il mercato del latte in generale. Piuttosto, bisogna arrivare a definire un prezzo univoco, che in questi anni è mancato”.
Ha in mente altre soluzioni?
“Come primo punto proporrei di fare chiarezza e distinguere fra i prodotti ottenuti dalla lavorazione della materia prima italiana dagli altri, quelli cioè che vengono solo trasformati nel nostro Paese, partendo però da latte importato. Ma su questo punto l’industria non ha mai voluto trattare”.
Cosa pensa dell’applicazione dei futures al settore lattiero caseario, come avviene già negli Sati Uniti e in parte dell’Europa?
“Non mi piace l’idea di legare l’agroalimentare a prodotti finanziari speculativi, perché il rischio è che si trasformino in bolle. L’Italia, inoltre, ha la fortuna di poter contare su Dop lattiero casearie molto forti e ha un mercato che non è paragonabile a quello americano, che non ha produzioni tipiche da difendere”.