Il grido di allarme dei produttori di carne bovina, lanciato dalla cooperativa padovana Azove, trova eco nel mondo zootecnico del Nord Italia, dove si concentra la gran parte degli allevamenti bovini. Molti allevatori, ai quali è arrivato l’invito a disertare gli acquisti di vitelli in Francia, hanno espresso solidarietà e sono pronti a interrompere l’import.
Il messaggio della op di Ospedaletto Euganeo – una realtà composta da 150 soci, 50mila bovini allevati e un fatturato di 135 milioni di euro - suona come un ultimatum. “Se i prezzi dei ristalli dei broutard francesi andranno oltre una certa soglia – afferma il presidente, Fabio Scomparin – sospenderemo gli acquisti”.
Il settore si trova compresso in una morsa in cui, paradossalmente, nessuno guadagna. “Gli allevatori stanno perdendo fra i 200 e i 250 euro per capo allevato – prosegue Scomparin – il che, se si prende una stalla di dimensioni medie nel Veneto, con 4-500 animali, si fa presto a segnare debacle da 100mila euro per ciclo produttivo”.

E non va meglio ai macelli e alle macellerie, colpite da un calo dei consumi intorno al 7% e destinato, col perdurare della crisi e il potere di acquisto delle famiglie sempre più risicato, a diminuire ancora. Quindi, almeno per il 2013, l’importazione di charolais e limousine dalla Francia, che nel 2012 è stato di 800mila broutard, dovrebbe frenare.
Per la cronaca, la soglia psicologica dei listini, oltre la quale far scattare lo sciopero delle importazioni, da alcune fonti sembra essere stata superata. Poi, naturalmente, ogni singolo allevatore o cooperativa agricola, deciderà se ridurre il numero dei capi allevati, sospendere del tutto le importazioni per qualche settimana, oppure stringere i denti e rischiare un salto nel buio.
È la prima volta in quarant’anni che si arriva ad una simile decisione, di fatto contro natura, molto sofferta e allo stesso tempo inevitabilespiega Daniele Bonfante, direttore commerciale di Azove –. Ma vediamo che si sta verificando lo stesso andamento di un anno fa: prezzi dei ristalli in salita, previsioni di vendite in aumento, per il fabbisogno mondiale di carne previsto in crescita; invece, la crisi ha penalizzato i consumi”.

Il rischio che chiudano altre stalle è molto elevato. Anche perché basta dare un occhio ai numeri. Acquistare oggi in Francia i vitelli per il ristallo costa 2,90 euro al chilogrammo per lo charolais maschio, che rappresenta il 60-70% delle importazioni. Acquistare un vitello di razza limousine costa invece 3,35 euro al chilo (se leggero) oppure 3,10 euro al chilo per la categoria più commercializzata di 350 chilogrammi.
Il baricentro si abbassa, invece, quando si vende il vitellone adulto, allevato per almeno 7 mesi. Qui i prezzi sono fermi a 2,45-2,50 euro/kg per gli charolais di migliore qualità e 2,80 euro/kg per i limousine. “Ciò vuol dire che noi allevatori, per sopravvivere, stiamo intaccando il premio qualità e parte del premio unico aziendale - dichiara il numero uno di Azove – senza dimenticare che la razione alimentare incide in maniera pesante sui bilanci e che l’accesso al credito è sempre più un percorso ad ostacoli”.
Tenuto conto che la linea vacca-vitello, che potrebbe in parte sopperire alle esigenze di importare vitelli dalla Francia, in Italia è una rarità e che il progetto di valorizzare la carne attraverso il Sistema di qualità nazionale (Sqn) il prossimo maggio festeggerà i due anni di stallo nelle stanze del ministero delle Politiche agricole, non resta che il boicottaggio dell’import.
E la proposta di Azove trova il sostegno anche di altre organizzazioni di allevatori. Fabiano Barbisan, presidente di Unicarve (350mila bovini allevati dal consorzio, il 15% in meno rispetto all’anno scorso), concorda sulla linea. “Sosteniamo la posizione dei colleghi di Azove e invitiamo i nostri allevatori ad una riflessione – dice Barbisan - perché oggi i prezzi per i ristalli sono fuori logica commerciale”. Il presidente di Unicarve manda anche un messaggio al Mipaaf: “Si velocizzi sulla domanda del Sqn, che diventerà il trampolino di lancio per ridare il premio qualità ai produttori, un po’ come era l’articolo 68, e avrà una ricaduta commerciale positiva”.
 
Primo Cortellazzi, presidente del Consorzio carne bovina documentata

Allineato alla proposta di Azove anche Primo Cortellazzi, presidente del Consorzio carne bovina documentata, realtà con 110mila capi, con sede a Mantova. “Condivido l’appellodice – perché la situazione è molto grave e le stalle stanno chiudendo. Se non si arriverà ad un accordo di filiera, l’Italia rischia di perdere la zootecnia da carne di qualità nel giro di 10-12 mesi”.
Cortellazzi punta anche il dito sui ritardi della burocrazia. “Ci sarebbero le opportunità per esportare bovini in Turchia, in Libia e nel Nord Africa – attacca – ma senza i permessi sanitari restiamo tagliati fuori da questi mercati in forte crescita”.

Matteo Bernardelli