Uno studio che vede protagonista l'Università di Pisa getta nuova luce sulla relazione tra piante coltivate e micorrize.

Microbiologi e genetisti del Dipartimento di scienze agrarie, alimentari e agroambientali coordinati dalla professoressa Manuela Giovannetti e dal professor Andrea Cavallini, hanno sequenziato per la prima volta il trascrittoma del girasole in simbiosi con un fungo micorrizico, cioè tutti i geni che una pianta di girasole attiva quando viene micorrizata da un fungo.

Lo studio, pubblicato pochi giorni fa su Scientific Reports, ha coinvolto anche un gruppo di bioinformatici del centro di ricerca di Rothamsted, in Gran Bretagna, uno dei più antichi istituti di ricerca agraria del mondo, famoso anche per i suoi studi sugli effetti a lungo termine delle concimazioni portati avanti ininterrottamente da 175 anni sugli stessi appezzamenti.

Così abbiamo incontrato la professoressa Giovannetti per farci spiegare meglio questo lavoro e la sua importanza sia dal punto di vista scientifico che dal punto di vista dei possibili sviluppi per la coltivazione del girasole.
 
La professoressa Manuela Giovannetti nel suo laboratorio

Professoressa, ci può spiegare in breve cosa è stato fatto in questo lavoro?
"In questo studio, per la prima volta, abbiamo usato una tecnologia avanzata, chiamata Rna-Seq, per scoprire quali geni sono espressi in maniera differenziale nelle radici del girasole quando inizia a vivere in simbiosi con un fungo benefico, il fungo micorrizico Rhizoglomus irregulare. La ricerca è stata effettuata in due tempi diversi, a uno stadio precoce e a uno stadio più avanzato della simbiosi. In questo modo abbiamo potuto verificare anche quali geni sono espressi dopo solo 4 giorni dall'inizio dell'interazione tra pianta e fungo".

Perché è importante conoscere quali geni attiva una pianta quando entra in simbiosi con un fungo micorrizico?
"La conoscenza dei geni attivati durante lo sviluppo della simbiosi è importante per avere una visione completa dei profondi cambiamenti a cui va incontro la pianta per ospitare il simbionte benefico. Tali cambiamenti si sono evoluti in un arco molto ampio di tempo: infatti la simbiosi micorrizica ha avuto origine più di 460 milioni di anni fa, ed è stata fondamentale per il successo della colonizzazione delle terre emerse da parte delle piante primordiali, che avevano un apparato radicale poco sviluppato. Il fungo simbionte micorrizico ha così funzionato da apparato assorbente, capace di crescere nel suolo e trasferire i nutrienti minerali alla pianta. Nel nostro studio abbiamo identificato 726 geni espressi differenzialmente nelle piante micorrizate rispetto ai controlli non micorrizzati. Alcuni di questi geni sono coinvolti nella difesa contro i patogeni, nel bilancio ormonale e nel trasporto di nutrienti".

Perché è stata scelta come pianta da studiare il girasole?
"Perché era importante condurre la nostra ricerca su una pianta che non fosse la solita pianta-modello studiata in laboratorio, ma una pianta di interesse industriale, ampiamente coltivata in tutto il mondo. Il girasole infatti è una delle quattro piante più importanti produttrici di olio vegetale, il prezioso olio di girasole, ricco di acidi grassi insaturi e vitamina E".

Quali sono i possibili risvolti tecnici che potranno venire da queste nuove conoscenze per la coltivazione del girasole o di altre piante?
"I dati ricavati dal nostro studio dimostrano che alcuni geni, come quelli per la difesa contro gli stress, sono espressi già a partire dal quarto giorno dall'inizio della interazione pianta/fungo e che sono altamente rappresentati durante lo sviluppo della simbiosi. Questo da una parte rappresenta la prova genetica di studi sperimentali che mostravano una maggiore resistenza agli stress come siccità, salinità e attacchi parassitari nelle piante micorrizate e dall'altra apre nuove prospettive per l'utilizzazione dei funghi simbionti micorrizici in agricoltura".

Questo studio apre nuove prospettive anche per la selezione e la produzione di funghi micorrizici?
"Certamente, perché nelle piante micorrizate sono espressi differenzialmente anche geni per il trasporto di nutrienti essenziali per la pianta, come azoto e fosforo: i prossimi studi potranno mettere a confronto diverse specie di funghi simbionti per poter selezionare quelli più efficienti e riprodurli per la loro utilizzazione in sistemi agricoli sostenibili".