È un vero labirinto. Quello del Minotauro, di Teseo e del filo di Arianna? No quello della disinformazione sul biotech.
Ma andiamo per ordine.
Di miti e leggende sugli organismi transgenici se ne possono trovare perfino nella mitologia greca, basti pensare proprio al Minotauro, ibrido orrifico nato dall’unione di un toro sacro con Pasifae, moglie del Re di Creta Minosse.
Sebbene non esistessero ancora associazioni ambientaliste o propugnatori della decrescita felice, nemmeno allora gli ibridi pare godessero di grandi simpatie, visto che il frutto di quell’accoppiamento finì rinchiuso nel labirinto appositamente disegnato da Dedalo, artista e architetto di corte.
Il Minotauro, eletto a simbolo moralista delle conseguenze dei comportamenti contro Natura dell'Uomo, si cibò per anni solo di carne umana, in barba quindi anche ai più moderni precetti macrobiotici e agli ammiccamenti delle diete vegane.
Solo l’astuzia di Teseo, eroe ateniese, e di Arianna, figlia di Minosse, poterono avere ragione del “mostro”.
 
Dopo circa duemila e 500 anni l’Umanità sembra continuare ad aver bisogno di miti e leggende in cui credere. Come pure pare che resti ancora oggi tentazione irresistibile quella di diffonderle a ogni livello e con ogni mezzo.
I mostri di oggi non portano però corna e zoccoli, bensì geni modificati. E questa volta nulla c’entra Zeus, bensì la ricerca biotech. Questa ha prodotto organismi portatori di resistenze e oggi si teme possano contaminare altre essenze vegetali trasferendovi le proprie caratteristiche contro Natura.
Ma è davvero così? Parrebbe proprio di no. Ultima fra le numerose posizioni anti-mitologiche è quella della Wssa, acronimo della Weed Science Society of America. I membri scientifici dell’associazione hanno infatti trattato le due principali accuse mosse sul tema, ovvero quella secondo la quale le “superinfestanti” siano prodotte del trasferimento genico in campo da colture geneticamente modificate, nonché quella che vorrebbe le malerbe così modificate divenire più competitive nei confronti delle “sorelle” rimaste con i soli geni originali.
 
Circa la prima, la Wssa non nega che vi possano essere trasferimenti di geni in campo, ma le resistenze non possono essere attribuite a tali fenomeni. Le vere cause scatenanti sarebbero invece le reiterate applicazioni di ben precise famiglie di erbicidi, le quali hanno permesso a individui mutati “in proprio” e casualmente di sopravvivere nel tempo, divenendo poi numericamente dominanti rispetto alle popolazioni non mutate. Del resto, in Italia non vi sono ogm nei campi, ma il tema delle resistenze è divenuto ogni anno sempre più delicato in molti areali e su differenti colture.
Concetto questo confermato anche da Brad Hanson, membro del Wssa e malerbologo presso l'Università di California-Davis "La resistenza agli agrofarmaci non è un fenomeno nuovo o unico. L'abuso di qualsiasi classe di composti, se antibiotico, antimicrobico, insetticidi, fungicidi o erbicidi, ha il potenziale per portare a una riduzione dell'efficacia. Le erbe infestanti resistenti agli erbicidi sono state segnalate più di mezzo secolo fa e le strategie per una loro gestione integrata hanno incluso un crescente ricorso all’aratura, ai diserbi meccanici o manuali e all’applicazione di miscele di più erbicidi. Oggi, tuttavia, è diventato comune in alcuni sistemi colturali per gli agricoltori l’utilizzo reiterato di singole classi di erbicidi e ciò ha portato al crescente problema delle resistenze".
 
Circa il secondo mito, il giudizio non è meno deciso. In molti oggi credono che le superinfestanti mostrino proprietà mai viste prima anche al di là della semplice resistenza, ma i ricercatori aderenti alla Wssa negano questa posizione affermando che il comportamento aggressivo di una malerba resistente si verifica solo nei campi coltivati, dato che al di fuori di questi le due tipologie di piante non differiscono in alcun modo circa le attitudini alla sopravvivenza.

Non che ci volesse la Wssa, onestamente, per confermare ciò: se la marcia in più è quella di resistere a un erbicida utilizzato nei campi di grano, non si capisce quale vantaggio competitivo dia quel gene nel momento in cui le piante resistenti crescessero in mezzo ai boschi, dove quell’erbicida non viene applicato. Di quel plus competitivo, lì, in Natura, la supposta "superweed" non saprebbe infatti che farsene e le sue dinamiche di popolazione diverrebbero le medesime delle “sorelle” non mutate.
Secondo Andrew Kniss, docente e membro del Consiglio dell’Università del Wyoming "Quasi tutte le specie infestanti possono essere economicamente devastanti se lasciate incontrollate. È quindi importante adottare una serie di pratiche di gestione delle infestanti e non affidarsi esclusivamente a erbicidi".
 
Il documento completo Wssa sulle cosiddette "superinfestanti" è pubblicato on-line. Lo stesso sito contiene anche una serie di indicazioni circa la gestione raccomandabile per combattere la resistenza agli erbicidi.
 
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