La moltiplicazione 'in vitro' (micropropagazione) ha rappresentato per
Vitroplant Italia srl un elemento di grande importanza, che si è evoluta grazie alla sperimentazione e alla ricerca, dimostrandosi una tecnica rivoluzionaria per il futuro del vivaismo.
Dall’esperienza nel settore,
Vitroplant ha ottenuto e diffuso portainnesti micropropagati Certificati Virus-Esenti e autoradicati d’
actinidia,
pero,
vite,
pesco,
albicocco. Grazie inoltre allo studio di ricerca sul miglioramento genetico si sono ottenute varietà di
Vite da tavola, d’actinidia come
Hayward K,
P1,
D1 Vitroplant e di Carciofi quali
Romanesco C3,
Apollo®,
Exploter®,
Life. Attualmente si lavora per cercare di diffondere nuovi manufatti vivaistici per noce, olivo, albicocco, mandorlo e si producono piante da biomassa, forestali, con tutto il vantaggio dell’uniformità della coltura 'in vitro' e della velocità produttiva che la tecnica consente di attuare.
I prodotti offerti da
Vitroplant Italia a partire dal laboratorio fino al vivaio sono:
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Varietà clonate anche in esclusiva delle specie più varie;
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Piante risanate da virus con termoterapia in vitro;
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Materiale clonale per usi sperimentali;
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Embrioni coltivati in vitro per programmi di miglioramento genetico;
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Piante radicate in vitro;
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Piante ambientate in contenitori alveolari;
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Astoni innestati o allevati in contenitori alveolari;
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Portainnesti da vivaio a radice nuda;
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Astoni innestati o autoradicati da vivaio a radice nuda;
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Piante microinnestate;
Micropropagazione, la definizione
La tecnica di propagazione agamica è ormai diventata per molte specie un sistema di moltiplicazione alternativo alle tecniche tradizionali di propagazione. L'obiettivo è quello di ottenere in tempi brevi e a costi contenuti, un grande numero di piantine, identiche sia genotipicamente che fenotipicamente alla pianta di partenza precedentemente selezionata per caratteristiche fisiologiche e produttive di pregio.
Essa consiste nell'allevare le gemme o le microtalee su idonei mezzi di coltura addizionati di ormoni vegetali in maniera tale da esaltare al massimo la produzione di nuovi germogli.
Le piante ottenute con questa tecnica sono uguali alla 'mamma' e per questo cloni della pianta che ha donato il tessuto. Nel processo di micropopagazione si distinguono le seguenti fasi:
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Induzione e stabilizzazione delle colture in ambiente asettico.
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Promozione dell'attività rigenerativa e moltiplicazione dei nuovi germogli.
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Induzione e sviluppo di nuove radici alla base dei germogli.
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Trapianto ed acclimatazione.
La canna comune (Arundo donax L.) per la biomassa
La canna comune conosciuta come temibile infestante nei terreni agrari si è dimostrata una delle specie più adatte per realizzare impianti ad elevata produzione di biomassa per uso termico ed energetico. Essa si adatta bene ad ogni tipo di terreno e di disponibilità idrica. Il punto debole della canna è la propagazione. Non produce semi e l’uso dei rizomi sotterranei è economicamente molto gravoso in termini di manodopera. Un efficiente protocollo di propagazione in vitro consente di avere tassi di moltiplicazione elevati, ottenere piante uniformi come sviluppo e di piccole dimensioni, facilmente trapiantabili meccanicamente.
"La moltiplicazione in vitro - spiega
Gerardo Grilli direttore di
Vitroplant Italia srl - è facilmente ottenuta partendo da giovani germogli espiantati da culmi in attiva crescita nel mezzo di Murashige and Skoog con BA a 2 mg per litro. Si ottengono tassi di moltiplicazione di circa 6 ogni 4 settimane. Rimuovendo o semplicemente riducendo a 0.5 mg per litro la BA si ottiene un abbondante radicazione in vitro. Le piante sono facilmente acclimatabili in serra. Il limite resta comunque il costo elevato delle piantine così ottenute. La micropropagazione è sempre una tecnica costosa per l’elevato impiego di manodopera. La densità molto elevata di piantine per ettaro (8/10.000) rende elevato il costo dell’impianto anche se poi va suddiviso per la durata dell’impianto che normalmente è di 15 anni. Le piante in campo rispetto a quelle propagate per rizoma - continua Grilli
- dimostrano un elevato vigore vegetativo con un forte accestimento, con un numero elevato di culmi ma di diametro inferiore. Questa tendenza tende a scomparire negli anni successivi all’impianto. La micropropagazione della canna è relativamente facile ma per la diffusione di questa tecnica è necessario che la remuneratività della coltura possa sopportare il costo elevato dell’impianto con questo tipo di piante".
Il carciofo
Le attività di micropropagazione e il miglioramento genetico del
carciofo sono iniziate in
Vitroplant nei primi anni Ottanta. Lo stimolo iniziale fu dato da ricercatori dell’
Enea con l’obiettivo di risanare e uniformare la popolazione del Carciofo romanesco a quel tempo estremamente eterogenea. La coltura in vitro ebbe inizio con la moltiplicazione del carduccio N° 3 (C3) prelevato in una carciofaia tradizionale da una pianta madre selezionata per la notevole precocità. Questa selezione è attualmente la tipologia di carciofo romanesco più diffusa e coltivata. A fine anni Ottanta furono effettuati i primi incroci tra il C3 e violetti con alcune nuove varietà francesi per ottenere ibridi geneticamente stabili, rustici, resistenti. Nel corso degli anni si è evidenziata nel C3 una notevole instabilità del fenotipo legata alla sensibilità agli stress ambientali. Considerate le difficoltà legate alla produzione in vitro del C3, queste problematiche emerse nel tempo hanno creato malumori e contestazioni da parte degli agricoltori e notevolmente ridotto l’interesse economico per questo tipo di produzione vivaistica. In
Vitroplant, dopo un periodo di riflessione, la produzione vivaistica del carciofo è ripresa, ma è prevista una progressiva riduzione della produzione del C3 e un incremento consistente della produzione di Apollo, nuova varietà protetta da brevetto europeo ottenuta dal nostro progetto di miglioramento genetico, di tipologia simile al romanesco con grossi capolini colorati che sta ottenendo in questi ultimi anni un notevole successo sul mercato .
Il noce, ancora qualche problema
La propagazione del noce è molto difficoltosa e in Italia c'è una cronica carenza di piante. In vitro il noce ha grossi problemi legati alla sterilizzazione ed alle successive ricontaminazioni dovute alla presenza di batteri endogeni. La radicazione in vitro con una fase d'induzione al buio ed il successivo trasferimento su substrato agarizzato contenente vermiculite da buoni risultati in funzione della percentuale di piantine radicate. Queste piante però sono estremamente delicate nella fase di acclimatamento. Per cercare di migliorare la sopravvivenza delle piantine in quest'ultima fase, sono state introdotte alcune innovazioni (in modo particolare si è preso in considerazione la varietà Chandler che attualmente è una delle più richieste dal mercato italiano).
"Si è partiti - spiega Gerardo Grilli - inserendo piantine, in fase di moltiplicazione, su substrato DKW (DRIVER and KUNIYUKI 1984) con IBA 0,01 mg/l e BA 1.5 mg/l a 23°C±1°C con 16h fotoperiodo. Successivamente sono state trasferite su substrato di allungamento sempre DKW con IBA 0,01 mg/l, BA 0,5 mg/l. I germogli ottenuti di 4-5 cm di lunghezza sono stati posti a radicare al buio per 7 giorni in DKW (1/4 macroelementi) con 5 mg/l IBA e saccarosio 40 g/litro (JAY-ALLEMAND et al., 1992). Dopo l'induzione i vasi di coltura vengono posti alla luce per altri 7 giorni e e successivamente le piantine tapiantate in un substrato torboso al 10% di agriperlite. Lo sviluppo delle radici avviene in questo caso per la maggior parte direttamente in vivo consentendo la formazione di un sistema radicale più efficiente di quello che si ottiene in vitro su vermiculite. Le percentuali di sopravvivenza e la qualità delle piantine ottenute sono migliorate anche se non ancora non soddisfacienti.'
L'olivo, la grande novità
La micropropagazione delle piante dopo trenta anni dalle prime applicazioni industriali ha influito profondamente nelle tecniche vivaistiche di molte specie di interesse agrario. Per l’olivo invece le tecniche tradizionali di radicazione per talea e l’innesto sono a livello mondiale ancora le più utilizzate.
"Sostanzialmente crediamo che questa situazione - spiega Gerardo Grilli di
Vitroplant - sia stata determinata da diversi fattori quali i costi elevati delle piante micropropagate, determinati da tecniche di moltiplicazione in vitro dispendiose e problematiche legate alle fasi giovanili. I primi impianti sono poi stati effettuati con piante di incerta identità varietale. La propagazione in vitro dell’olivo messa a punto alla Vitroplant a partire da notizie bibliografiche (Rugini et al. 1980; Standardi et al. 1998), consente di ottenere manufatti vivaistici che per qualità e costi sono concorrenziali con quelli ottenuti con le tecniche tradizionali. Permangono difficoltà in alcune varietà soprattutto legate alle prime fasi di immissione in vitro già segnalate (Zuccherelli et al. 2000). Dai primi risconti le piante di olivo ottenute in vitro sono interessanti dal punto di vista vivaistico e agronomico per diversi motivi quali la crescita verticale (assurgente), per una maggiore resistenza agli stress ambientali, per una crescita molto rapida. Sono necessarie idonee tecniche agronomiche atte a favorire il superamento delle fasi giovanili. Questo potrebbe essere un problema nelle aree geografiche ove la manodopera è professionalmente poco preparata".