La prima sessione si è aperta con la relazione del professor Godini, del Dipartimento di Scienze delle Produzioni vegetali dell’Università di Bari, che ha presentato dati statistici sull’olivicoltura pugliese in Italia, nel bacino Mediterraneo e nel resto del mondo, concentrandosi sulle crescenti difficoltà, tecniche e soprattutto economiche, che gli olivicoltori pugliesi stanno vivendo.
Con un rapido excursus sui costi, Godini ha preso in considerazione quelli per la raccolta (dai 35 ai 70 €/qli), rispetto al prezzo di vendita delle olive (circa 40 €/qli), e li ha confrontati con quelli della raccolta meccanica ( circa 8/9 €/qli).
Dal raffronto si evince che “è impossibile non prendere in considerazione” l’adozione su vasta scala del sistema di allevamento dell’olivo “superintensivo” con sesti di impianto di 3,5-4 mt X 1,3-1,5 mt, e con un investimento per Ha di circa 1600- 2000 piante, che sono in grado di entrare in produzione gia dal terzo anno e che raggiungono la maturità produttiva già al 5-6° anno d’impianto (7° di età). Tale sistema di allevamento consente anche di ridurre da 100 a 10 gg/anno/ha le giornate lavorative, fattore determinante per competitività sui mercati e costo del lavoro.
Godini evidenzia tre atteggiamenti possibili rispetto al sistema ‘superintensivo’: disinteresse, denigrazione e la verifica per gli areali pugliesi, meglio se con varietà nostrane.
“A questo riguardo - ha detto - il punto non è tanto il sistema di allevamento, quanto la resistenza pugliese nell’introdurre innovazioni in campo olivicolo, che si concretizza con la resistenza dei centri di ricerca e del mondo vivaistico a testare le varietà italiane per verificarne l’adattabilità al sistema”. Una verifica che il professore sta personalmente facendo in Puglia - “tra molte difficoltà di natura economica per mancanza di finanziamenti” - con alcune varietà italiane come Urano® , FS-17®, Leccino e altre. “I risultati sono ottimi - ha detto Godini - ma presuppongono studi lunghi e costosi, che potrebbero anche portarci a constatare che le nostre varietà sono poco adatte, con relativo spreco di tempo”. Il professore, in sostanza, ha invitato gli olivicoltori pugliesi ad aprirsi all’introduzione di nuove varietà italiane ed estere, in particolare spagnole, “come Arbequina e Arbosana, già ampiamente sperimentate”.
Il professore ha poi evidenziato i vantaggi del sistema di riproduzione dell’olivo per talea autoradicata - come accade in Spagna e in molti altri mercati emergenti soprattutto del Cile degli Usa ecc - piuttosto che con il classico innesto. “Le talee autoradicate - ha sottolineato - consentono una riduzione dei costi (l’innesto costa 5 volte di più) e di tempo, perché entra prima in produzione”.
A questo proposito, Luigi Catalano, direttore del Consorzio vivaistico pugliese ha dato vita al dibattito, ha sottolineando che “pur non essendo contrario al sistema delle talee autoradicate, è il mercato non richiederle, perché non incontra il favore degli olivicoltori pugliesi”. Catalano ha spiegato che per l’olivo ottenuto talea richiede “una preparazione del terreno con costi difficilmente conciliabili con la redditività delle produzioni”. Non solo. “Il mercato non chiede questo tipo di piante - ha aggiunto Catalano - perché i risultati agronomici non sono soddisfacenti. E al momento il mercato esprime solo piante da innesto”.
A seguire si sono tenute le relazioni di A. Guario, Osservatorio fitosanitario regionale sugli "Aspetti entomologici emergenti dell'olivicoltura pugliese" e di F. Nigro del Dipartimento di Protezione delle piante e Microbiologia applicata, Università di Bari su "Le malattie fungine dell'olipatologie emergenti”.
La seconda sessione ha riguardato la presentazione da parte delle aziende di agrochimica di alcune etichette di nuova introduzione e in via di registrazione.
Segreteria organizzativa dei Forum: Associazione Regionale Pugliese dei Tecnici e dei Ricercatori in Agricoltura e C.R.S.A. "Basile Caramia".
A cura di Stefano Siani - Redazione di Agronotizie
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