Nei primi mesi del 2025 Donald Trump ha destabilizzato profondamente il mercato globale con annunci e controannunci di dazi sulle importazioni negli Stati Uniti che, secondo il presidente, dovrebbero servire a riequilibrare il deficit commerciale degli Usa nei confronti di altri paesi, in primis dell'Unione europea.

 

Dopo una vera e propria guerra commerciale con la Cina durata da inizio aprile a inizio maggio, dal 14 maggio e per 90 giorni, il presidente americano ha ridotto i dazi sulle merci cinesi importate dal 145 al 30% e, di contro, sembra voler adottare un approccio più duro con l'Europa.

 

A prescindere da come evolveranno i negoziati, i dazi attualmente in vigore sui beni europei - al 10% in generale e al 25% su acciaio, alluminio e auto - pesano sull'economia dei paesi Ue influendo anche sul commercio di macchine agricole tra le due sponde dell'Atlantico.

 

Lo scenario incerto condiziona l'agrimeccanica 

Riepiloghiamo le decisioni riguardanti l'import dall'Ue prese da Trump:

  • Il 12 marzo 2025 gli Stati Uniti hanno imposto dazi al 25% su acciaio, alluminio e prodotti derivati realizzati all'estero, per poi introdurre il 3 aprile tariffe del 25% sulle automobili straniere;
  • il 5 aprile sono entrati in vigore dazi al 10% su tutti i prodotti di qualsiasi origine, esclusi quelli indicati nell’Allegato II dell’EO 14257;
  • il 3 maggio sono partiti i dazi al 25% sui componenti per auto importati.

Lo scorso 2 aprile il presidente americano ha annunciato anche dazi "reciproci" del 20% su tutte le importazioni di merci europee, salvo poi sospenderli per un periodo di 90 giorni, dal 10 aprile fino al 9 luglio 2025, con la pubblicazione dell'EO 14266.

 

In risposta, l'Unione europea ha preparato contromisure su vari prodotti statunitensi per un valore complessivo di 26 miliardi di dollari, che però non sono entrate in vigore dopo l'apertura ai negoziati mostrata da Trump.

Nel corso dei 90 giorni di sospensione, Stati Uniti e Ue devono negoziare per arrivare a un accordo. L'Unione ha affidato i negoziati al commissario per il commercio Maroš Šefcovic e resta aperta al dialogo, ma insiste sulla necessità di rimuovere i dazi dannosi per le aziende e i consumatori.

 

"Sono stata felice di rivedere il vicepresidente JD Vance - ha dichiarato su X lo scorso 18 maggio la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen. Era necessario. Ed è stato positivo. Abbiamo trovato molti punti in comune, il che è naturale per partner forti come noi. Per quanto riguarda il commercio, entrambi vogliamo un buon accordo che sia vantaggioso per le persone e le imprese su entrambe le sponde dell'Atlantico. I nostri team stanno lavorando 24 ore su 24 per trovare soluzioni. Siamo fiduciosi che ci riusciremo"

 

Italia-Usa, 1 a 0 nel commercio di macchine agricole

Sebbene per ora il nuovo sistema tariffario americano non colpisca specificamente il settore europeo delle macchine agricole, ha già creato un clima di forte incertezza che potrebbe deprimere l'export europeo del comparto che vede l'Italia tra i maggiori paesi esportatori di mezzi agricoli in termini di valore, insieme a Germania e Francia.

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A livello mondiale, l'Italia nel 2023 si è posizionata al quarto posto dietro agli Stati Uniti, sia nella classifica dei 20 paesi principali esportatori mondiali di trattrici sia nella classifica dei 20 paesi principali esportatori mondiali di macchine agricole. Nonostante gli Usa esportino di più a livello globale rispetto al nostro paese, negli scambi commerciali bilaterali "vince" il nostro paese che vende più trattori e mezzi agricoli oltreoceano di quelli che compra.

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Nel 2023 gli Stati Uniti sono stati il quarto paese di destinazione delle trattrici prodotte in Italia, con esportazioni pari a circa 171,8 milioni di euro. Un valore decisamente superiore a quello delle nostre importazioni di trattori made in Usa, pari a 25 milioni di euro. Sempre nel 2023, gli Stati Uniti sono stati i maggiori compratori di macchine agricole italiane, assicurando un export di quasi 706 milioni di euro. Per contro, noi abbiamo importato molto di più da altri paesi, in primo luogo Germania, Francia e Cina: l'import dagli Usa è stato pari a 40,5 milioni. L'Italia, anche nel 2024, ha mantenuto il surplus commerciale nonostante un calo della domanda negli Usa. 

 

"Il nostro paese ha sempre chiuso gli ultimi anni con una bilancia commerciale fortemente attiva rispetto agli Stati Uniti - commenta Mariateresa Maschio, presidente di FederUnacoma. Nel 2024 le esportazioni di macchine agricole italiane verso gli Stati Uniti hanno raggiunto un valore complessivo di oltre 750 milioni di euro, a fronte di importazioni per circa 50 milioni: il surplus commerciale è stato di oltre 700 milioni".

 

L'export italiano negli Stati Uniti di Trump

Al momento, l'incertezza generata dai repentini cambi di programma americani ha avuto un impatto molto differente sul business dei costruttori italiani di trattrici e attrezzature. C'è chi non rileva particolari differenze tra le esportazioni di inizio 2024 e quelle di inizio 2025 e chi, invece, registra già un calo oltreoceano.

"Negli Stati Uniti esportiamo solo trattori a marchio McCormick e, per ora, il nostro export non risente della nuova politica americana - dichiara Antonio Salvaterra, direttore Marketing di Argo Tractors.

 

La situazione è meno stabile per Rinieri, produttore di attrezzi per la lavorazione del terreno. "Ci siamo trovati in una situazione imprevista: puntavamo a rafforzarci sul mercato americano ma abbiamo deciso di aspettare almeno fino a quando saremo effettivamente esentati dai dazi che erodono le nostre entrate per un motivo politico. Intanto, nel primo trimestre 2025 abbiamo registrato un calo degli ordini del 15% rispetto allo stesso periodo del 2024 - afferma Nicola Rinieri, General Manager di Rinieri. Stimiamo che la riduzione degli ordini rimarrà sullo stesso livello finché non si farà chiarezza".

 

"In generale, senza ostacoli commerciali, l’export annuo del 2025 negli Usa potrebbe mantenersi in linea con i livelli del 2024, considerando che il mercato americano sta vivendo un momento difficile a causa della bassa redditività agricola e delle incertezze dal punto di vista economico" sostiene Maschio.

 

Dazi, cosa succede se riguardano i mezzi agricoli?

Se il prossimo 9 luglio Trump decidesse di introdurre dazi specifici sulle importazioni di macchinari agricoli e componenti agromeccaniche prodotti in Europa, causerebbe diversi problemi ai produttori italiani che esportano oltreoceano.

 

"Con l’introduzione di dazi americani, le nostre esportazioni potrebbero subire un calo tra il 10% e il 30%, a seconda dell'entità dei dazi imposti e degli eventuali assestamenti sul mercato. Questo significherebbe potenzialmente una perdita annuale compresa tra i 70 e i 220 milioni di euro" stima Mariateresa Maschio.

 

Il calo delle esportazioni sarebbe dovuto al fatto che gli importatori dovrebbero pagare maggiori tariffe doganali per far entrare le merci italiane negli Stati Uniti e dunque, scaricherebbero parte del rincaro sul prezzo finale dei beni. L'aumento di prezzo renderebbe mezzi e componenti importati meno competitivi rispetto ai prodotti locali teoricamente meno costosi, o a quelli di Paesi esenti dalle misure tariffarie.

 

"Le categorie di macchine più esposte al rischio di contrazione dell'export sono quelle di fascia medio-alta più esportate dall'Italia negli Usa: trattrici, attrezzature per la lavorazione del terreno, la raccolta e la semina, oltre a mietitrebbie e atomizzatori" spiega Maschio. L'eventuale introduzione dei dazi colpirebbe soprattutto gli scambi delle trattrici da pieno campo e delle mietitrebbiatrici che vengono prodotte in ampia misura anche negli Stati Uniti, mentre influirebbe meno sulle vendite di macchinari da vigneto e frutteto che hanno pochi sostituti made in Usa.

 

Meccanizzazione: serve un nuovo approccio

A prescindere dall'esito dei negoziati tra Usa e Ue e dagli annunci futuri di Trump, è ormai evidente che i rapporti tra i due Paesi sono cambiati e la potenza americana non è più così affidabile come in passato. In questo scenario, risulta sempre più importante per le aziende italiane adottare una nuova linea che si basi su:

  • diversificazione delle strategie commerciali;
  • ricerca di mercati esteri alternativi per compensare eventuali cali in quelli tradizionali;
  • promozione sul mercato statunitense di prodotti di nicchia, difficilmente reperibili presso le imprese locali.

Secondo il Piano d’azione per l’export italiano presentato a fine marzo 2025 dal ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Antonio Tajani, i mercati extra Ue emergenti ad alto potenziale di sviluppo sono numerosi: Turchia, Cina, Emirati Arabi Uniti, Messico, Arabia Saudita, Brasile, India, paesi del sud-est asiatico, Sudafrica, Algeria, Serbia e alcuni paesi del Sud America.

 

Nella ricerca di nuovi mercati, le aziende italiane e in generale quelle europee, si trovano a competere con l'industria cinese che da anni - ben prima dell'inizio della guerra commerciale con gli Stati Uniti - è impegnata a consolidare la sua posizione in Sud-Est asiatico, Africa e Sudamerica attraverso accordi commerciali bilaterali sulle esportazioni e investimenti in infrastrutture fisiche e digitali.

 

Mercati alternativi e beni specifici tra le vie d'uscita

Diversi paesi extra Ue dimostrano già un’elevata ricettività nei confronti delle macchine agricole made in Italy. "In caso di chiusura parziale del mercato americano, le imprese italiane potrebbero intensificare le esportazioni verso il Brasile e l'Argentina, dove la domanda di meccanizzazione è in crescita costante. Anche in India la modernizzazione agricola apre opportunità significative. Inoltre, la Turchia e i Paesi del Magreb si confermano bacini di domanda attivi per le tecnologie italiane - sostiene Maschio. Guardando al futuro, Vietnam, Thailandia e Indonesia stanno emergendo con una forte domanda di meccanizzazione e l'Africa subsahariana mostra, in prospettiva, ampi margini di crescita nonostante alcune criticità infrastrutturali. Tra i mercati maturi, Canada e Australia si confermano stabili con elevate capacità di spesa e grande apprezzamento per la qualità made in Italy" conclude Maschio.

 

"Indipendentemente da quanto accadrà negli Stati Uniti, l'attenzione di Argo Tractors resterà alta sui molteplici mercati che importano trattori Landini e McCormick. Oggi i nostri modelli arrivano in oltre 100 paesi grazie a 130 importatori e 15 filiali. Realizziamo alti volumi in Europa (45%) e Africa (25%), nonché in Asia, Medio Oriente e Oceania" sottolinea Salvaterra.

 

Più europeo l'approccio di Rinieri che fa sapere: "La nostra azienda, che ha sempre dedicato grande attenzione alle vendite all'estero, si concentrerà di più sui mercati europei, in primo luogo su Francia, Germania e Spagna".

 

Per restare competitivi sul mercato statunitense, i produttori italiani possono fare leva sull'offerta di macchine di nicchia e sulla promozione delle eccellenze made in Italy. "Intendiamo concentrarci sulle attrezzature per le lavorazioni interfilare e la potatura, poiché in tali segmenti non c’è una grande concorrenza delle aziende americane che invece sono più forti per quanto riguarda le trinciatrici" specifica Rinieri.

 

Altri prodotti italiani che probabilmente manterranno il loro appeal oltreoceano sono alcuni componenti meccanici come i sistemi di trasmissione. "I nostri ingranaggi - conferma Giovanni Santamaria, ceo di Movimenta - non si trovano negli Stati Uniti, non esistono alternative made in Usa comparabili. Dunque, al momento, il costo dei dazi ricade soprattutto sui clienti americani perché il know how sviluppato dalle aziende del Gruppo ci protegge dalla politica di Trump" spiega.

 

Spostamento della produzione, conviene davvero?

Se alla fine i dazi dovessero colpire specificamente i macchinari agricoli importati, le imprese italiane potrebbero anche "aggirarli" scegliendo di produrre alcuni modelli negli Stati Uniti attraverso la delocalizzazione di parte della produzione o l'avvio di partnership con aziende locali.

 

"Alcuni produttori italiani del comparto già operano negli Usa attraverso reti di distribuzione e partnership commerciali consolidate. L’introduzione dei dazi potrebbe dare impulso all'apertura di stabilimenti sul territorio americano o alla formalizzazione di accordi industriali con player locali che garantirebbero un accesso preferenziale al mercato limitando gli effetti dei dazi" precisa Maschio.

 

"Tuttavia, spostare parte della produzione delle aziende non è semplice. Mantenere i siti produttivi in Italia rappresenta un valore dal punto di vista occupazionale e sociale e realizzare macchine negli Usa comporta costi rilevanti - prosegue Maschio. Secondo le nostre stime, se una quota anche solo del 10–15% dell’export venisse trasformata in produzione locale, ciò potrebbe valere 70–100 milioni di euro di investimenti diretti o partnership industriali. Si tratterebbe di un impegno rilevante da assumere, peraltro in un contesto nel quale la stessa politica americana appare mutevole e non ben definita".

 

Finché permane l'incertezza riguardo agli scambi commerciali tra le due sponde dell'Atlantico, le imprese italiane intervistate non prevedono modifiche sul fronte organizzativo con le loro filiali o i loro importatori negli Stati Uniti.

 

Produttori americani: non immuni dai dazi

L'eventuale inasprimento della politica tariffaria di Trump peserebbe anche sui costruttori statunitensi che utilizzano stabilmente componenti made in Europe per l'assemblaggio dei loro mezzi agricoli. Molti dei trattori costruiti negli Usa - ad esempio, quelli di Case IH e John Deere - montano componenti estere soggette a dazi come motori e trasmissioni prodotte in Italia e Germania, pneumatici europei o giapponesi e sistemi elettronici made in Asia.

 

"Le componenti per macchine agricole rappresentano una porzione rilevante del nostro export complessivo - fa sapere Maschio. Qualora venissero applicati dazi anche su tali parti, le imprese americane dovrebbero rivedere la loro supply chain e avrebbero tre opzioni: cercare fornitori alternativi in Paesi non soggetti a dazi, internalizzare la produzione o spingere per la delocalizzazione diretta da parte dei fornitori europei in modo da avere siti produttivi vicini ai luoghi di assemblaggio".

 

Già oggi i dazi in vigore - vale a dire quelli del 25% su acciaio e alluminio e i dazi del 10% sulle importazioni di merci estere - stanno provocando un rallentamento delle catene di approvvigionamento e un aumento dei costi di produzione. Il risultato più probabile sarà un incremento dei prezzi finali dei trattori "born in the Usa" che potrebbe frenare gli acquisti interni, già in calo nel 2024.

 

Il futuro dipende da un accordo

La situazione negoziale in continua evoluzione rende difficile fare previsioni sul futuro. Tuttavia, il settore agromeccanico italiano auspica un ritorno alla normalità negli scambi tra Stati Uniti e Ue.

"Gli accordi commerciali sono sempre complessi, perché possono riguardare interi settori come pure singole merceologie all’interno di questi settori. Tali trattative sono di competenza dell’Unione Europea, che le affronterà in modo globale cercando di gestire molte variabili riguardanti, ad esempio, le derrate agricole, le forniture energetiche e le piattaforme tecnologiche. Gli interventi del Governo italiano saranno in funzione dei nuovi assetti che dovessero scaturire dalle trattative - afferma Maschio.

Ci auguriamo che la questione dei dazi si possa ridimensionare: la storia economica mondiale ci ha insegnato che i dazi, quando vengono introdotti per condizionare il sistema commerciale, vengono poi revocati con molta difficoltà, perché innescano meccanismi di aggiustamento complicati da smantellare".

 

"Se la minaccia dei dazi dovesse rientrare, ci aspettiamo che le esportazioni italiane di settore possano continuare la loro crescita, anche perché le imprese agricole americane necessitano di tecnologie sempre più raffinate, soprattutto per le colture specializzate. Questo rappresenta un elemento a favore della nostra industria che offre standard molto elevati e gode di ottima reputazione oltreoceano" aggiunge Maschio.

 

"È lecito immaginare che la politica tariffaria si riveli un espediente per intavolare trattative commerciali con i singoli Paesi e quindi che il corso delle esportazioni verso gli Usa resterà simile a quello attuale, influenzato perlopiù dalla condizione economica degli agricoltori americani e dalla loro propensione ad investire in meccanizzazione" sostiene Salvaterra.

 

Rinieri, infine, auspica "una riduzione al minimo delle tariffe doganali americane in modo da poter recuperare le perdite degli ultimi mesi e raggiungere risultati di vendita negli Usa paragonabili a quelli del 2024".

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