Le ultime notizie sul fronte meteo climatico danno i viticoltori della Germania centrale alle prese con le conseguenze di una delle gelate più violente degli ultimi anni, che potrebbe infierire sulla qualità e sulla quantità del vino ottenuto. Lo scorso anno, gli effetti del climate change (gelate, siccità, peronospora) hanno riportato in testa la Francia fra i grandi produttori di vino in termini di volume, dopo alcuni anni di dominio italiano (e ci riferiamo alla quantità, non al prezzo medio per bottiglia, dove la Francia resta ampiamente leader).
Lo scorso anno sono state adottate misure per la distillazione di crisi in alcuni Paesi dell'Unione Europea. In base ai dati della Commissione Ue, dall'inizio del 2023 sono stati destinati alla distillazione di crisi del vino europeo oltre 105 milioni di euro di fondi comunitari.
Nel 2023 per la distillazione del vino sono stati destinati circa 34 milioni di euro. Nell'anno in corso, nel solo mese di gennaio sono stati spesi quasi 71 milioni di euro. I costi maggiori, secondo il computo dell'Ue, sono stati sostenuti dalla Francia, con un totale di 68,5 milioni di euro, seguita dal Portogallo, con oltre 18 milioni di euro e dall'Italia, con circa 15 milioni di euro.
La conversione del vino in alcol industriale per ridurre le eccedenze che difficilmente potranno essere consumate - ancor più se proseguono le campagne anti alcol in alcuni Paesi dove effettivamente vi è la tendenza a non considerare il vino come un accompagnamento del pasto - ha dei costi anti economici rispetto alla produzione di alcol industriale attraverso la cellulosa. Così, almeno, sostiene Simone Loose, docente di Economia del Vino presso la Hochschule Geisenheim University in Germania, che sottopone invece il tema dell'estirpazione dei vigneti.
Meno superfici vitate significa meno vino, meno stock, possibilità di contenere crolli di valore sui mercati. Nella regione di Bordeaux, una delle zone più prestigiose della viticoltura mondiale, dove già nel Settecento salpavano vascelli carichi di pregiati vini alla volta dell'Inghilterra, i vigneron hanno ceduto all'estirpo, complici anche altri fattori: i cambiamenti climatici (il riscaldamento globale si fa sentire, in particolare innalzando il tenore zuccherino delle uve e dunque la gradazione alcolica) e il progressivo spostamento dei consumi dai vini rossi a quelli bianchi.
I giovani, d'altronde, si stanno spostando verso la birra, i cocktail, mentre si sta sviluppando la tendenza ai consumi di vini a bassa gradazione alcolica o dealcolati (in parte anche per questioni religiose, anche se marginalmente).
La Spagna, altro Paese con una tradizione vitivinicola consolidata, nel corso degli ultimi anni, secondo il quotidiano El País, ha visto flettere la domanda da più di 12 a meno di 10 milioni di ettolitri, mentre quella delle esportazioni è passata da 24 a 20 milioni di ettolitri.
In Francia si ragiona appunto sulla riduzione del potenziale vitivinicolo, passando attraverso un sondaggio statistico online (si chiuderà il 12 giugno prossimo, siamo agli sgoccioli), così da pianificare gli espianti, stabilire i prezzi delle agevolazioni (solo a Bordeaux si parla di 8mila ettari interessati con un sostegno da parte del Governo di 6mila euro per ettaro, ma potrebbero esserci aggiustamenti in caso di estirpo temporaneo e di estirpo definitivo, con cifre che dovrebbero aggirarsi intorno ai 2.500 euro/ettaro e a 4mila euro a ettaro).
Il dibattito sull'estirpo non è solo appannaggio della vecchia Europa. Anche in California e in Australia, che si è vista ridimensionare le vendite sul mercato cinese, stanno ipotizzando una sforbiciata ai propri ettari vitati.
Le elezioni europee e le istituzioni che si verranno ad aggiornare nelle prossime settimane in base agli esiti delle urne avranno da gestire inevitabilmente un piano di rilancio del settore. Il Copa Cogeca ha avanzato la proposta di valutare la possibilità di una estirpazione a tempo. Misura meno tranchant, in attesa di capire quali saranno le evoluzioni del settore, se sarà possibile tutelare il comparto attraverso la viticoltura di precisione e gli strumenti della digital innovation, se l'introduzione di nuovi cloni potrà rendere i vigneti più resilienti senza perdere le caratteristiche del terroir e delle denominazioni. Senza arretrare sul fronte della qualità, che resta una delle priorità per i consumatori.
L'Italia, in tutto questo, non sta a guardare. All'ultimo Vinitaly il ministro dell'Agricoltura, Francesco Lollobrigida, aveva lasciato la porta aperta alla sostituzione dei vigneti, spostando così l'asse sull'eventualità dell'estirpazione temporanea e non definitiva. Un Paese come l'Italia, le cui origini affondano nell'antica Enotria, terra del vino, oggi leader a livello mondiale con oltre 570 vigneti registrati, dovrebbe valutare attentamente le azioni da proporre a livello europeo. Perché sempre dall'Europa si passa.
Probabilmente bisogna razionalizzare le aree, le vocazioni, studiare le opportunità, valutare diversificazioni, mettere a punto nuove linee di promozione sui mercati internazionali. Non servono rivoluzioni, ma soluzioni (anche per rilanciare esportazioni in calo). Il vino è un patrimonio unico, inimitabile. Va difeso e sostenuto, promuovendone una sana diffusione e contrastando gli abusi. Va anche e soprattutto raccontato (e in questo sommelier, vigneron ed enoturismo possono dare un contributo fondamentale). La cultura salverà il mondo. Anche quello del vino. Lo abbiamo dimostrato negli ultimi venti anni e non dobbiamo aver paura di cogliere le nuove sfide.