Sappiamo che per i mercati è ben difficile usare la sfera di cristallo. Se parliamo poi di grano la situazione, per quest'anno, si fa ancor più complicata per gli effetti della guerra in Ucraina.

 

Lo scorso luglio è cessato l'accordo fra i belligeranti che per un anno aveva permesso l'esportazione da parte ucraina di 33 milioni di tonnellate di cereali. Del rinnovo dell'accordo se ne sta parlando in queste ore all'Onu.

Sia quel che sia è interessante constatare che la posizione della Russia come esportatore si sta di anno in anno rafforzando: un quarto circa delle esportazioni mondiali sono oggi effettuate dai russi, solo venti anni fa quasi marginali nel panorama commerciale mondiale.

 

Abbandonando il turbolento contesto internazionale veniamo alla (pessima) stagione italiana. Consultando l'esperto massimo e vecchio amico Valerio Filetti, presidente della Borsa Merci di Bologna, ho avuto la conferma che l'annata è stata caratterizzata da rese scarse e qualità bassa su quasi tutto il territorio nazionale. La bassa resa in semola andrà quindi a influire sul prezzo del grano duro. Per il grano tenero una maggior quantità di prodotto, non avendo caratteristiche molitorie adeguate, sarà invece indirizzata al settore zootecnico.

 

Come sappiamo il nostro paese importa circa il 50% del suo fabbisogno di grano duro (dal Canada 1-1,5 milioni di tonnellate a seconda della stagione) e grosso modo il 60% di quello di grano tenero (principalmente da paesi Ue).

 

Una brutta notizia: "obtorto collo" siamo e saremo sempre legati alla volatilità dei prezzi del mercato mondiale.

Due buone: la prima è che la produzione mondiale è data in ribasso e quindi più o meno equivalente a quella dell'anno scorso. La seconda è che molte industrie hanno oramai una doppia linea di rifornimento; utilizzano grani italiani per le paste che vengono distribuite nel nostro paese, grani esteri per quelle esportate.

 

Speriamo che gli italiani non si mettano a dieta.