"L'Unione Europea deve rivedere il proprio ruolo geopolitico e compiere uno scatto innanzitutto di natura culturale, così da riuscire a parlare come unico interlocutore, collegiale, e definire politiche armoniche e condivise. Altrimenti continueremo a rimanere un'accozzaglia di Stati, perdendo di vista le azioni da compiere urgentemente per favorire una crescita armonica. Non possiamo pensare di affrontare separatamente le grandi sfide alle quali non solo l'Europa, ma l'umanità è chiamata a dare risposte".
Raggiunta da AgroNotizie, parla di crescita, di sicurezza alimentare globale e di collaborazione internazionale Diana Lenzi, imprenditrice agricola e presidente del Ceja, il Consiglio Europeo dei Giovani Agricoltori, già intervistata anche dalla collega Barbara Righini in merito all'importanza di fare squadra in agricoltura.
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"Siamo di fronte a un cambio epocale e il tema è complesso" spiega. "Dobbiamo affrontare diversi aspetti concatenati: come produciamo, dove produciamo, come scambiamo i prodotti e come fare in modo che il sistema si alimenti senza che le fragilità geopolitiche attuali si traducano in misure protezionistiche. Tornare a un mondo chiuso non avrebbe alcun senso, in un sistema interconnesso come è oggi, con accordi commerciali globali, che non riguardano solamente Russia e Ucraina, ma anche il Nord America e il Sud America, la Cina, l'Africa, il Medio Oriente e l'Asia. Non è detto che produrre tutto da soli sia la soluzione migliore; anzi, per l'Europa sarebbe piuttosto difficile. Dobbiamo restare aperti al dialogo. Lo ha sostenuto recentemente anche l'economista Jeffrey Sachs, già direttore dell'Earth Institute alla Columbia University, nel suo intervento all'Università di Siena, in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa in Economia dello Sviluppo Sostenibile".
Qual è il messaggio di Sachs che l'ha più colpita?
"Il nuovo approccio agli Esg, i 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile sono i punti sui quali lavorare per permettere a questo Pianeta di sopravvivere all'umanità che lo governa, sono i punti che devono assurgere alla nuova Carta dei diritti dell'umanità".
Nel 2023 partirà la riforma della Pac. Mancano ancora dettagli significativi, come i Piani Strategici Nazionali. Secondo lei andrebbe rinviata di un anno? Servirebbero dei correttivi?
"Ci sono vantaggi e svantaggi da entrambe le parti. Se dovessimo rinviare l'avvio della riforma della Politica Agricola Comune, posizione che da un lato potrebbe essere interessante, ci ritroveremmo però con una Pac ulteriormente accorciata e non dimentichiamo che il prossimo anno avremo in Italia le elezioni, con un nuovo Governo e un nuovo Parlamento. Rischieremmo di aver bisogno di altro tempo per far ripartire la macchina a livello nazionale, non dando ai giovani agricoltori e alle imprese la tranquillità di poter pianificare adeguate azioni di sviluppo e, magari, rallentando il processo di sostegno all'agricoltura per introdurre misure pretestuose a supporto della sostenibilità. Non c'è dubbio che siamo in ritardo con l'iter di definizione del Piano Strategico Nazionale, in Italia così come in altri Paesi, ma temo che se dovesse saltare la partenza della Pac nel 2023 non ci sarà nessuna Pac dopo".
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I giovani agricoltori sono sempre stati piuttosto critici nei confronti della Pac, perché non riconosceva sufficiente attenzione agli imprenditori under quaranta. È ancora così? Vi aspettavate di più?
"Dipende. Abbiamo approfondito il tema in un workshop molto interessante, organizzato proprio dal Ceja, durante il quale abbiamo confrontato i diversi Piani Strategici Nazionali e il contributo dei giovani nel processo decisionale che ha portato alla stesura dei Psn".
A quali conclusioni siete giunti?
"Che non vi sono situazioni omogenee e che, come sempre, anche se è la prima volta che viene concessa maggiore libertà di manovra agli Stati membri attraverso i Psn, ci troviamo di fronte a Paesi molto virtuosi che si coordinano, coscrivono le misure, redigono attentamente le norme per sostenere i giovani agricoltori al primo insediamento, trovano soluzioni per misure di prepensionamento, e altri Paesi in cui non c'è stata minimamente consultazione e a livello di attenzione ai giovani siamo fermi solo al primo insediamento".
Delusa?
"Diciamo che avevamo in mano un enorme strumento: la possibilità del Piano Strategico Nazionale era una grande opportunità perché consentiva agli Stati membri di mettere a punto strumenti su misura per le diverse realtà agricole nei 27 Paesi. È finito talvolta nel caos politico".
Presidente, potrebbe elencare almeno alcuni dei cosiddetti Paesi "virtuosi" o comunque attenti al rapporto con i giovani agricoltori?
"Direi Francia, Svezia, Belgio, ma nella parte fiamminga. Altri Paesi sono rimasti un po' indietro con il dialogo e fra questi purtroppo l'Italia, la Spagna, il Lussemburgo".
Quali sono le preoccupazioni dei giovani agricoltori europei, in questa fase?
"Alcune politiche non vanno in alcuna direzione. Prendiamo la proposta legislativa sul nuovo Regolamento per l'uso sostenibile degli agrofarmaci, che ha correttamente ambizioni di ridurre l'impatto ambientale, ma mostra limiti oggettivi e fortemente limitanti per l'agricoltura stessa. Faccio un esempio: dove si prevede di eliminare uno specifico prodotto, perché ritenuto non più compatibile con l'ambiente o perché giudicato insalubre, sono stati previsti strumenti per permettere agli agricoltori di proteggere e mantenere in salute le proprie piante? Sono state studiate alternative o ci si è limitati a proibire? Come Ceja siamo molto attenti alla sostenibilità e siamo in contatto con l'industria e i produttori di biofertilizzanti o fertilizzanti organici in modo da agevolare ricerca e sviluppo, ma la stessa Europa che invoca tagli di prodotti e impone proibizioni nell'utilizzo, sa se l'industria è pronta ad assicurare soluzioni efficaci rispetto ai tempi e agli obiettivi?
C'è molta incertezza, come non abbiamo riferimenti certi sui tempi di entrata in vigore della Pac. Tutto questo penalizza gli agricoltori, in particolare i giovani. Cosa raccontiamo a un giovane imprenditore agricolo che vorrebbe delineare un piano di crescita della propria azienda? Che rassicurazioni può avere, se nei prossimi anni cambiano di nuovo tutto?".
Di criticità che si trova davanti un giovane con il sogno di fondare un'azienda agricola e dei primi passi che deve affrontare ha parlato anche Francesco Piras, economista di Ismea e referente all'interno della Rete Rurale Nazionale della scheda giovani, nel podcast dedicato ai giovani agricoltori dove però si parla anche di una storia di successo.
Ascolta l'intervento di Francesco Piras e di altri esperti.
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Il Green Deal sta scricchiolando. Cosa ne pensa? Agricoltura e ambiente possono convivere, senza che a farne le spese siano i redditi degli agricoltori?
"Devono tornare a convivere. Ci siamo allontanati da questa convivenza dagli Anni Ottanta ai primi Duemila, prediligendo la necessità di produrre per poter creare reddito, non valorizzando però adeguatamente le produzioni e nemmeno lavorando in maniera concreta per aumentare le rese in campo; per contro, abbiamo perso un contatto con la natura, che è necessario ricreare. Dobbiamo proteggere le produzioni, il suolo, le risorse idriche e lo stiamo già facendo.
Bisogna ora fare in modo che la transizione ecologica sia accompagnata dalla corretta valorizzazione del prodotto agricolo. Deve essere riconosciuto in maniera adeguata dal consumatore e dalle istituzioni tale sforzo per la sostenibilità, anche attraverso una corretta remunerazione del prodotto stesso che viene venduto, per riuscire a proteggere il reddito dell'agricoltore".
Manca la manodopera in agricoltura e i giovani non sembrano interessati a lavorare nel settore né come imprenditori né come dipendenti. Lo confermano, a livello italiano, anche i primi risultati del 7° Censimento generale dell'Agricoltura. Perché, secondo lei, e come ovviare a questa carenza occupazionale?
"Resta un lavoro abbastanza provante e faticoso. Di fronte alle alternative che offre il mercato e non dando una contropartita economica sufficiente per far restare il giovane in agricoltura, è logico che il lavoro dell'agricoltore non è considerato attrattivo né sul piano economico né sociale. Dovremmo far diventare mainstream le innovazioni tecnologiche, così cambierebbero gli approcci. Ma non possiamo dimenticare che per poter utilizzare le nuove tecnologie, anche legate alla digitalizzazione, il settore deve essere fiorente sul piano economico, altrimenti le innovazioni non si reggono".
Quale sarà l'evoluzione dell'agricoltura?
"Non so sinceramente dirle con esattezza come sarà l'operatore agricolo, anche perché la figura imprenditoriale si lega inscindibilmente con soluzioni molteplici e flessibili. Ma se vogliamo dare un futuro all'agricoltura e avere il corretto valore aggiunto per permettere di pianificare strategie di governance aziendali, dobbiamo accelerare per favorire un netto cambio di mentalità.
Chi si troverà ad operare in agricoltura dovrà andare verso la direzione 'zero spreco', che significa non soltanto zero spreco di materie prime, adozione di soluzioni di economia circolare, ma anche zero spreco di risorse finanziarie, di capacità intellettiva, cosicché ogni investimento tecnologico possa essere sfruttato e valorizzato al massimo.
Per essere chiari con un esempio pratico: se utilizzo un sistema di gestione satellitare per migliorare la salute delle foglie della vite, ma poi non colgo pienamente l'opportunità che mi offre la tecnologia e mi limito a raccogliere i dati senza magari condividerli con il mio vicino, allora non avremo un pieno ed efficace sviluppo sostenibile, perché avrò sfruttato l'investimento solamente per una piccola percentuale del suo potenziale. Lo stesso vale per le energie da fonti rinnovabili agricole, che grazie a nuovi approcci non entrano più in competizione col suolo agricolo, ma sono complementari. Gli agricoltori devono poter produrre cibo ed energia, senza entrare in conflitto e senza depauperare la vocazione produttiva del suolo. La vera sfida, quindi, è sulla condivisione della conoscenza come leva di sviluppo".
L'imprenditrice agricola Diana Lenzi
(Fonte foto: Diana Lenzi, presidente del Ceja)