A vederla così, sembra un mondo alla rovescia, almeno per come lo abbiamo imparato a conoscere negli ultimi decenni.
Però, a leggere i dati, le cifre e a scandagliare le date in cui il documento "Docket No. Ustr-2016-0025", col quale l'ufficio del rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti (Ustr) chiede l'applicazione dei super-dazi su alcuni prodotti europei, si ha una ulteriore scossa. Il mondo di nuovo sottosopra e, come nei gialli, niente è come sembra.
La data è del 28 dicembre 2016, ovvero quando alla Casa Bianca abitava ancora Barack Obama. Una polpetta avvelenata, non si sa se usata come esca o come trappola vera e propria, lasciata apposta per vellicare il decisionismo spaccone di The Donald e scatenare la rissa dei dazi a livello mondiale. Verrebbe a pensare al secondo caso, se si pensa che uno degli ultimi atti della Casa Bianca targata Obama fu un atto di facilitazione alla conversione al biologico, con un sostegno economico garantito a livello di mercato durante il periodo di conversione.
Non si può però fingere di non sapere che, in base ai dati dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), le tariffe medie applicate sull'import vedono gli Stati Uniti al 3,5%, contro il Giappone al 4%, l'Ue al 5,1%, la Cina al 9,9%, l'India al 13,4% e il Brasile al 13,5%. Insomma, se non sono un agnello tra i lupi, gli Stati Uniti rispondono all'antico brocardo latino: similes cum similibus congegantur.
Gli Stati Uniti vogliono forse sostenere il treno dell'economia che, secondo i dati comunicati dal dipartimento del Commercio degli Usa, cresce più del previsto, tanto che l'altro giorno sono stati aggiornati i dati sul Pil sul quarto trimestre 2016. Ebbene, dal +1,9% comunicato in precedenza, la stima è stata rivista al rialzo, verso una crescita del 2,1%.
Certo, i principi base dell'economia dicono che non è con il protezionismo che si incentivano gli scambi né si favorisce la crescita del Pil. Basterebbe questo per comprendere come forse la strada dei dazi non è la migliore per crescere. Anche secondo il principio dell'America first, tanto caro a Trump.
Allo stesso modo, gli stessi appelli degli operatori, dall'Harley-Davidson agli agricoltori dell'Iowa, uno degli Stati rurali per eccellenza, dove il rapporto è di un abitante e sette maiali allevati, vanno nella direzione opposta alle tariffe. Solo l'Iowa esporta 13 miliardi l'anno di beni alimentari verso l'Asia e il Messico. Inasprire i rapporti commerciali, dicono gli operatori del territorio, potrebbe essere controproducente.
Poi, in un bailamme che giova forse alla vena istrionica di Trump, c'è appunto spazio per le dichiarazioni forti, come quella del segretario al Commercio Usa, Wilbur Ross, secondo il quale "siamo in guerra commerciale da decenni. La sola differenza è che ora le nostre truppe sono finalmente passate all'attacco".
Ripercorrendo l'elenco dei circa novanta prodotti che potrebbero essere posti all'indice con dazi sino al 100% oltre 75 sono prodotti o preparati alimentari. Nel mirino ci sono le acque minerali, gli ortaggi e le conserve, le carni lavorate e i prodotti a base di carne, ma anche motocicli e motori. Parliamo, in totale, di esportazioni dall'Italia agli Stati Uniti per circa 700 milioni di euro.
Eppure, bisogna dirlo, l'autorizzazione dal Wto ad applicare i super-dazi è valida solo fino al raggiungimento di 116 milioni di euro, pari cioè al danno che gli Usa avrebbero patito con la mancata osservanza da parte dell'Unione europea dell'accordo di acquisto di carne di manzo (senza ormoni, si badi bene!) da Washington.
Certo, qualcuno potrebbe affermare che una volta applicata una tagliola all'ingresso, essa vale per il codice doganale, anche qualora superasse il valore oggetto di permesso dall'Organizzazione mondiale del commercio. Gli Stati Uniti, però, saranno così sciocchi da mettere a repentaglio i commerci internazionali?
E l'Unione europea, che grida allo scandalo, se venisse scongiurata la politica dei blocchi e dei super-dazi, avrebbe poi da ridire sul liberismo sfrenato degli Usa, come ha ipotizzato Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, richiamando la vecchia commedia giocata sul filo del libero mercato?
E se sulla carne avesse ragione l'ex presidente di Federalimentare, delegata di Confindustria alla tutela del made in Italy, Lisa Ferrarini?
Qualche anno fa, durante la rassegna suinicola di Reggio Emilia, Lisa Ferrarini avanzò una proposta coraggiosa. La riassumiamo: abolire tutti i dazi e le barriere sanitarie ingiustificate.
"Lasciamo pure che in Europa entrino le carni con gli ormoni, il pollo al cloro, gli Ogm, però pretendiamo che venga scritto in etichetta, in maniera chiara. Allo stesso tempo, però, gli Stati Uniti tolgano i vincoli sulle quantità che possono essere esportate dall'Unione europea. Poi, stiamo a vedere che cosa sceglieranno i consumatori. Io sono convinta che i consumatori europei lasceranno sugli scaffali i prodotti americani che non garantiscano standard sufficienti di sicurezza alimentare. Mentre sono altrettanto certa che i nostri Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma andranno a ruba sugli scaffali al di là dell'oceano". Verissimo.
Una postilla, figlia della relazione di Denis Pantini di Nomisma all'ottava Conferenza economica della Cia, che si è tenuta sul finire della scorsa settimana a Bologna: accanto alle tariffe daziarie vere e proprie, non possiamo dimenticare l'ostruzionismo alla circolazione dei beni, frutto di altri muri. Scopriamo così, grazie al responsabile dell'area Agroalimentare di Nomisma, che dal 2012 sono aumentate le barriere non tariffarie. Oggi si contano 494 barriere sanitarie e quasi 300 di natura tecnico-commerciale.
E queste, a mio sommesso avviso, sono ben più pericolose, in quanto agiscono senza essere sventolate e sotto lo scudo dell'igiene del mondo.