di Augusto Bocchini
Di riforma della Pac una volta si parlava ogni 5 - 10 anni, anche perché i vari interventi dovevano indirizzare il settore verso obiettivi almeno di medio termine. E questi erano molto concreti, dall’approvigionamento alimentare, al mantenimento della vivibilità delle aree rurali.
Quegli obiettivi furono centrati ed io ricordo un incontro del Copa al Bundestag, un anno prima della riunificazione, con Helmut Kohl, che ci accolse dicendo che il popolo tedesco teneva nella massima considerazione il mondo agricolo perché, nonostante il contributo del settore alla formazione del Pil fosse modesto, non poteva dimenticare che gli agricoltori avevano sfamato il loro Paese in un tragico dopoguerra ed avevano, per primi, portato avanti il processo di integrazione europea che avrebbe reso possibile la riunificazione.
Da Sicco Mansholt al Libro Verde di Andriessen, fu un’avventura esaltante che portò, con luci ed ombre, l’Agricoltura Europea a divenire una potenza esportatrice sui mercati mondiali.
Anche se allora cominciarono la marginalizzazione dell’agrumicoltura Italiana, alcuni grossi problemi dell’Olivicoltura, un certo affanno della nostra Ortofrutticoltura, nel settore bovino da carne la pressoché totale distruzione della linea vacca-vitello.
Poi, negli anni Novanta, ci fu la riforma Mac Sharry, con gli aiuti diretti, e lì ero presidente del Copa e riuscimmo a portare i soldi alle Imprese Agricole, direttamente da Bruxelles, senza filtri politici o burocratici.
Anche se, in Italia, riuscirono a creare un po’ dei soliti lacci e laccioli.
E’ vero che la Riforma del Commissario Irlandese conteneva un potenziale pericolo, e cioè il passaggio di gran parte del finanziamento della Pac dal metodo indiretto (con il sistema dei prelievi mobili e dei prezzi garantiti all’intervento), all’evidenza del bilancio comunitario.
Ma, in ogni caso, la produzione e la difesa dell’agroambiente trovavano il riconoscimento diretto di un attore protagonista: l’Agricoltore Imprenditore.
Contemporaneamente, senza troppi danni, si chiuse l’accordo del Gatt e si cominciò a parlare di difesa dei marchi e di proprietà intellettuale i primi passi per la difesa della qualità.
In Italia cominciò il miracolo del vino, che fu dovuto alla eccezionale capacità dei nostri imprenditori e, in piccola parte, alla scelta dei sindacati agricoli che su richiesta degli imprenditori più illuminati, imposero, anche in presenza di molti dissensi, il blocco degli impianti dei vigneti.
Questo permise la riscoperta di vitigni locali e di zone fortemente vocate, ma fino ad allora dimenticate.
Ricordo quel periodo anche per una concertazione ed un'intesa forte tra Confagricoltura, Coldiretti e Cia.
Poi arrivò la riforma Agenda 2000, positiva ad eccezione del taglio alle oleaginose, chiesto ed ottenuto dagli americani.
Subito dopo iniziarono i guai, a partire dall’allargamento della Ue, che noi sostenemmo dovesse essere preceduto dalla creazione di un’area di libero scambio e da un congruo periodo di adattamento per far crescere le economie di quei paesi.
E poi, il Wto (il vecchio Gatt che aveva cambiato nome) che secondo politici, economisti, professori, burocrati, personaggi della finanza e dell’impresa, e soprattutto l’allora Commissario all’Agricoltura Fischler, sarebbe stato concluso in tempi brevissimi, nella riunione di Cancun.
Fischler disse e scrisse in tutti i modi che, prima che il Wto portasse ad uno stravolgimento totale, bisognava riformare radicalmente la Pac per salvare qualcosa, tagliando prima che altri tagliassero. Il tutto in nome di una globalizzazione che oggi non va più di moda.
Così, a soli due anni dalla conclusione di Agenda 2000, non ci fu, come era nei patti, una verifica di medio termine, ma un totale cambiamento con l’introduzione del disaccoppiamento. Quindi tagliarono e disaccoppiarono.
Tutto, tranne le vacche nutrici francesi, e il nostro tabacco, anche se, per quest’ultimo, i testi giuridici successivi non rispettarono a pieno il senso dell’accordo chiuso all’alba, a Lussemburgo, con una sonora sconfitta del Commissario austriaco.
Poi altri avallarono la riforma dell’Ocm del settore bieticolo-saccarifero e il risultato è, anche se nessuno lo dice, che la bieticoltura italiana è scomparsa anche in zone molto vocate.
E questo è accaduto solo in Italia, mentre il prezzo dello zucchero viaggia su livelli molto più elevati di quelli previsti dagli esperti della Commissione.
Forse sarebbe il caso di andare a ricercare chi scrisse e disse che, su questi argomenti, a partire dall’allargamento, dal Wto, ecc.ecc.
Ma arriviamo ad oggi, come è giusto dal momento che stiamo parlando di un Settore Economico.
Io vorrei dire che i pericoli della regionalizzazione son partiti da lì, che il disaccoppiamento non è un dogma (tant’è che gli Usa si preparano a mandarlo in soffitta con il nuovo Farm Bill), che le burocrazie regionali spesso rendono i Psr una sorta di araba fenice per le imprese e che la situazione è resa ancora più difficile da un quadro finanziario tragico come non mai.
Ci sono dei punti fermi quali la produzione di qualità, la difesa dell’ambiente, l’impresa e il lavoro.
E allora forse l’unico aspetto positivo è che la gestione sindacale spetta ad uomini migliori e nuovi, rispetto a quegli ultimi avvenimenti, oltre al fatto che rimangono, forti realtà organizzative che con concrete scelte tecniche, nell’interesse dell’Agricoltura e del Paese, dovranno indirizzare le scelte politiche.
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Fonte: Agronotizie