L’occasione ideale per presentare la “Ricerca & Sviluppo” delle aziende associate, quale fattore determinante alla crescita del settore agricolo e dell’economia italiana in generale. Infatti gli investimenti nella “Ricerca & Sviluppo” del settore degli agrofarmaci rappresentano circa il 6% del suo fatturato complessivo delle aziende (45 milioni di € su circa 750 milioni di € di fatturato 2008) mentre gli addetti impegnati nell’attività di ricerca rappresentano circa il 14% del totale di quelli del settore, l’85% dei quali ricercatori a tempo pieno.
Luigi Radaelli, appena riconfermato presidente dell’Associazione, ha rilevato come l’agricoltura sia stata rimessa in primo piano a seguito della crisi dei mercati economici e finanziari, in particolare per la sua primaria funzione di sfamare una popolazione in costante crescita. Ma tra qualche anno, per potere soddisfare questo elementare fabbisogno agli attuali livelli produttivi, sarebbe necessario mettere a coltivazione una superficie pari all’intero territorio indiano: una vera utopia. Meglio investire nel miglioramento dell’efficienza e della produttività delle terre attualmente destinate alla produzione, con un uso responsabile e sostenibile dei mezzi tecnici a disposizione.
Sul fronte interno oggi l’Italia importa circa il 30% di mais e ben il 50% del grano; inoltre i prodotti tipici italiani sono di gran lunga quelli più contraffatti al mondo. Sarebbero sufficienti questi due aspetti per capire come l’agricoltura italiana abbia grosse opportunità di crescita, sia nell’ambito delle commodities alimentari, sia nel settore dei prodotti tipici, dei quali nel mondo esiste una contraffazione tale da poter potenzialmente consentire di sestuplicare le esportazioni nazionali unicamente per rimpiazzare i prodotti contraffatti.
Oggi l’agricoltura Italiana può contare su 335 sostanze attive utilizzabili, contro le circa 1.000 di qualche anno fa.
Sotto il profilo operativo, il ministero della Salute sta procedendo alla semplificazione delle procedure registrative, che entro l’anno verranno effettuate tutte in via informatico. “E’ una precisa volontà del ministro e sono in grado di garantirlo; metteremmo a rischio la nostra direzione generale e l’attività del gruppo che si occupa di attivare questa specifica attività”.
Secondo Dal Piaz tre sono state le fasi dell’evoluzione della tecnica colturale, specialmente nella difesa delle colture:
- tra il 1980 e il 1985 è nata la difesa integrata con obiettivo di ridurre l’impiego di sostanze attive considerate più tossiche (ora non più utilizzabili in Europa);
- di seguito si è lavorato molto nella formazione degli operatori, nella certificazione dei processi e nel controllo delle attrezzature;
- oggi è in fase di avvio la terza fase: passare dal tecnicismo di chi fa e sa, alla divulgazione sociale delle capacità e modalità produttive.
Ad esempio, nella bassa Val di Non dove da 40 anni si fa melicoltura intensiva, sono tornati i vari rapaci. Questo è un indice comunicabile che dimostra come industria e agricoltura lavorino a tutela dell’ambiente. Altro indicatore: la presenza di lepri in uno specifico territorio. Ne sono state censite 250 nel 1965, 70 nel 1990 mentre oggi, con l’utilizzo di tecniche di produzione integrata, si è tornati a 220-230 capi.
Per Dal Piaz la produzione integrata deve passare da semplice “integrazione di mezzi di difesa” a “integrazione tra le componenti della società”.
Molto apprezzato dagli agricoltori lo sforzo delle aziende agrochimiche per rendere più semplice e al contempo sicuro l’uso dei mezzi di difesa; da parte degli agricoltori c’è una tale consapevolezza di come viene svolto bene il lavoro che gli stessi vorrebbero “mettere la faccia” accanto ai propri prodotti, grazie a rintracciabilità e certificazione.
Per ricordare questo sarebbe necessario comunicare meglio “il positivo” e spiegare l’impatto reale di quanto compare qualcosa di negativo. Ma l’agricoltura, ancora oggi, non ha i mezzi, è troppo frammentata e non sa comunicare al grande pubblico.
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Fonte: Agronotizie