Potrebbe essere questo lo scenario “apocalittico” che viene fuori dallo studio “Effetto della variabilità meteoclimatica sulla qualità dei vini”, realizzato dall’Università di Firenze (Simone Orlandini, Giampiero Maracchi, Marco Mancini, del Dipartimento di Scienze Agronomiche e Gestione del Territorio Agroforestale dell’Università di Firenze; Gaetano Zipoli e Daniele Grifoni dell’Istituto di Biometeorologia del Cnr di Firenze).
Il progressivo aumento dell’effetto serra, accelerato da processi di antropizzazione sempre più aggressivi, provocherà gravi anomalie climatiche, facendo aumentare, entro il 2100, la temperatura della terra di 1,8 /4 gradi centigradi, sulla fine del secolo precedente. Scenari confermati anche dal World Economic Forum all’Ipcc (Intergovernamental panel on climate change), dall’Onu, dalla Consultative group on international agricultural research (Cgiar), solo per fare alcuni esempi.
Una tendenza verso un aumento delle temperature che, nell’ultimo secolo, ha interessato, naturalmente, anche il nostro Paese, con un aumento termico dell’ordine di 1,2 gradi centigradi (secondo la rilevazione del gruppo di Climatologia storica dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (Isac) del Cnr di Bologna. Fra le molte conseguenze del “global warming”, anche il cambiamento della geografia enologica mondiale, con un progressivo innalzamento della latitudine ideale per la pratica della viticoltura, che interesserà, inevitabilmente, anche i terroir dell’eccellenza enologica toscana. Paradossalmente, il fenomeno, ad oggi, si prefigura dal suo lato “positivo”: a partire, dagli anni Ottanta, infatti, il livello qualitativo dei vini delle tre grandi denominazioni toscane - sempre secondo lo studio realizzato nel 2006 dall’Università di Firenze - ha fatto registrare apprezzabili incrementi, non solo imputabili ai progressi della viticoltura e dell’enologia, ma anche alle particolari condizioni climatiche, soprattutto in termini di più elevata disponibilità termica).
La tendenza incrementale delle temperature attualmente in atto, insieme alla riduzione delle precipitazioni, porterebbe ad un’eccessiva disponibilità termica, con gravi ripercussioni sulla disponibilità idrica, che metterebbe a rischio la compatibilità dei tre territori toscani con una soddisfacente attività vitivinicola. La terra è stata attraversata, evidentemente, da altri cambiamenti climatici abbastanza recenti (rubricabili nei processi naturali di questo “organismo”) e rintracciabili anche nella storia del vino. Negli anni fra il 1000 ed il 1200 l’attività solare fu molto intensa e donò alle popolazioni medievali un periodo estremamente caldo e fertile, consentendo la coltivazione della vite anche nelle zone ritenute climaticamente sfavorevoli, come ad esempio nel sud della Scozia e, addirittura, in Norvegia, Islanda e Groenlandia, importata dai Vichinghi.
La breve semi glaciazione, detta “piccola” era glaciazione” (XVII-XVIII secolo) impose la cessazione della viticoltura in queste regioni (anche se da più parti viene indicata come causa principale della sua estinzione l’aumentato interesse da parte inglese dei vini prodotti in Aquitania). La “piccola” glaciazione, terminata all’incirca nella seconda metà del XIX secolo, ci ha consegnato l’attuale geografia enologica mondiale.
Purtroppo, l’aumento intensivo dei processi di antropizzazione a partire dall’inizio del secolo XX e delle sue conseguenze ambientali, non hanno pari nella storia umana e autorizzano ipotesi previsionali tendenzialmente pessimistiche. (Fonte: vrf)
Fonte: Europe Direct Carrefour del Veneto – Centro di Informazione e Animazione della Commissione europea
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