Perché pensiamo sia utile effettuare un prelievo sterile del latte? Se la risposta è conoscere i batteri che ci sono nelle mammelle delle nostre vacche, conoscere nello specifico gli antibiotici che possiamo usare per curare le mastiti del nostro allevamento, verificare l'efficacia di trattamenti effettuati in precedenza ecc., sappiate che tutto ciò ha una validità molto relativa. Vediamo di giustificare un'affermazione abbastanza in controtendenza rispetto a quanto sin ora considerato nella pratica zootecnica.

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Come si accennava poc'anzi, i prelievi di latte possono avere diverse finalità, e in base a queste i campioni da inviare al laboratorio possono essere eseguiti direttamente dal tank oppure dalle bovine, prelevando un unico campione dei quattro quarti oppure un campione dei quarti sospetti o ancora di tutti e quattro i quarti mantenendo la separazione per ogni capezzolo.

La ragione più frequente per cui si eseguono i prelievi sterili è quella di un'indagine "approfondita" delle cause che determinano, in allevamento, la presenza di una carica leucocitaria elevata o la presenza di numerose mastiti o flocculi o gonfiori. Quindi è fondamentale capire con il veterinario aziendale se è opportuna un'indagine quarto per quarto oppure di tutti e quattro i quarti, oppure ancora se dobbiamo affrontare una problematica di mastiti acute, perché in questo caso sarà utile prelevare il latte al momento della segnalazione della patologia, in modo tale che vi siano maggiori possibilità di determinare l'agente eziologico.


Prelievo e richiesta

Per effettuare un buon prelievo sterile, occorre eseguire con estrema cura una serie di operazioni semplici. Per prima cosa i prelievi sterili devono essere eseguiti con una scrupolosa igiene, al fine di non ritrovarsi nelle risposte la dicitura "latte inquinato" oppure "flora batterica polimorfa". Questo esito non produce alcun effetto, anzi ci fa perdere ulteriore tempo nella eventuale individuazione della problematica. L'esecuzione di un prelievo per singolo quarto amplifica per quattro la possibilità di contaminazione del campione, così come il prelievo sterile in fase acuta deve essere eseguito per forza di cose dall'addetto alla mungitura, il quale deve essere opportunamente istruito e supportato. Ribadisco infatti che è indispensabile seguire attentamente una routine consolidata; purtroppo non sempre questa scrupolosità è nella manualità dell'operatore occasionale (primo punto critico).

Eseguito il prelievo, l'invio al laboratorio deve essere accompagnato dalle richieste del vostro caso (es.: ricerca streptococchi e stafilocchi, esame batteriologico completo, ricerca di E.coli, ricerca di Prothoteca, ecc.) ed eventualmente dalla richiesta dell'antibiogramma. Risulta di fondamentale importanza fare una richiesta differenziata caso per caso (secondo punto critico) perché è diverso l'approccio che anche il laboratorio deve assumere se si tratta di un'indagine conoscitiva su larga scala oppure se si opera, ad esempio, all'interno di un programma di eradicazione da Streptococcus agalactiae: i terreni di coltura per ottenere un risultato il più attendibile possibile sono differenti.

In laboratorio il latte viene utilizzato per seminare le capsule petri, che poi vengono messe a incubare in atmosfera controllata, ad una temperatura prestabilita e per un tempo prefissato
In laboratorio il latte viene utilizzato per seminare le capsule petri, che poi vengono messe a incubare in atmosfera controllata, ad una temperatura prestabilita e per un tempo prefissato


Routine di laboratorio

In laboratorio cosa accade? L'esame batteriologico può ad esempio essere condotto mettendo il latte conferito su in una piastra petri opportunamente preparata con un terreno di coltura; dopo un periodo di incubazione ad una temperatura prestabilita per un tempo prefissato e a un'atmosfera controllata, l'operatore va a "leggere" al microscopio la crescita di colonie batteriche che si sono sviluppate. Quindi vengono evidenziate le colonie batteriche che hanno una crescita maggiore e quelle colonie che appartengono a ceppi batterici riconosciuti come "mastitogeni contagiosi". Di fatto, spesso vengono esclusi dalla routine specie batteriche che hanno un limitato impatto nelle patologie mammarie, come ad esempio i Clostridi. Può tuttavia accadere (e succede anche abbastanza frequentemente) che vi sia più di una popolazione batterica da ascrivere ai mastitogeni. In tal caso l'operatore evidenzia in maniera prioritaria i ceppi mastitogeni per eccellenza, quali ad esempio Staphylococcus aureus o Streptococcus agalactiae, ma non è detto che nel medesimo campione non fossero presenti anche batteri che danno patologie mammarie ambientali, come ad esempio Streptococcus uberis. Così come non è detto che un batterio riconosciuto come ambientale avesse avuto una crescita meno prolifica di quello refertato e riconosciuto come mastitogeno.

La questione si complica ancora di più quando sulla medesima piastra compaiono solamente batteri "ambientali" come ad esempio Streptococcus dysgalactiae o Staphylococcus epidermidis, considerati entrambi come ubiquitari presenti sulla cute delle mammelle, ma che talvolta possono inquinare la cisterna del capezzolo e la mammella (terzo punto critico).


Lettura del referto

Sul referto il laboratorio indica se il campione è positivo, negativo, se c'è una flora batterica polimorfa o se il campione è inquinato. Nella dicitura "flora batterica polimorfa" sono compresi batteri che pur essendo riconosciuti come mastitogeni, magari di origine ambientale, sono presenti in maniera aggregata ad altri batteri, cresciuti in maniera equivalente. Alcuni mastitogeni tendono quindi ad essere mascherati da batteri contaminanti, e questo fenomeno può riguardare più del 20% dei campioni analizzati (quarto punto critico).

Quando il campione è negativo le vacche sono da considerare sane? No, alcuni batteri mastitogeni hanno dei periodi di quiescenza nei quali restano "inattivi" o meglio vengono mascherati dalla presenza di un biofilm, un particolare secreto con fattore di adesività elevato che può far aumentare la resistenza agli antibiotici anche di mille volte. Inoltre alcuni batteri possono essere inglobati all'interno di macrofagi che ne mascherano la presenza nella mammella (quinto punto critico).

Dopo l'incubazione, l'operatore va a 'leggere' al microscopio la crescita di colonie batteriche che si sono sviluppate nella capsula petri
Dopo l'incubazione, l'operatore va a "leggere" al microscopio la crescita di colonie batteriche che si sono sviluppate nella capsula petri


Polymerase chain reaction

Per bypassare alcuni dei punti critici precedenti, posso però richiedere una Pcr. Questa è un'indagine di biologia molecolare che permette di identificare i batteri presenti mediante un'analisi di riconoscimento del Dna presente in molte matrici tra cui il latte. È quindi un test altamente sensibile e specifico, ma non ci dice se tale Dna apparteneva a batteri che nella nostra mammella o nel tank erano vivi e in grado di replicarsi oppure a batteri già morti o degenerati, riconducibili a una presenza batterica pregressa (sesto punto critico). Inoltre la Pcr non ci permette di eseguire alcun tipo di antibiogramma.

La Pcr non dice se i batteri individuati sono vivi e in grado di replicarsi oppure morti e degenerati
La Pcr non dice se i batteri individuati sono vivi e in grado di replicarsi oppure morti e degenerati


Limiti dell'antibiogramma

L'antibiogramma è spesso l'aspetto pratico che interessa l'allevatore. Si tratta di un test in vitro della sensibilità del batterio o dei batteri isolati da una precedente indagine batteriologica alle varie classi di antibiotici. Il batterio isolato viene coltivato su un gel di agar, nel quale sono posti a raggiera una serie di dischetti su cui sono adsorbiti i principi attivi dei diversi antibiotici. Generalmente dopo ventiquattro ore di incubazione, vengono misurati gli aloni di inibizione alla crescita dei batteri attorno al dischetto. La scomparsa di batteri dai 19 ai 30 mm attorno al dischetto determina la sensibilità a quel principio attivo di quel determinato batterio precedentemente isolato. Aloni di inibizione inferiori determinano una sensibilità intermedia o la resistenza del batterio a quell'antibiotico.

Sembra che abbiamo trovato la soluzione alla nostra infezione mammaria, ma in realtà non è così, e per diverse ragioni. L'antibiogramma è un test che viene eseguito in vitro, il che risulta molto diverso che usare un antibiotico in un sistema complesso come la mammella. Infatti l'antibiotico che viene somministrato per via endomammaria deve diffondere nel secreto della ghiandola in presenza di acqua, grasso, proteine, sali minerali, cellule di vario tipo, anticorpi e altro, che possono determinare una riduzione dell'efficacia anche considerevole, soprattutto in determinati stadi di lattazione.

D'altro canto il trattamento per via parenterale deve avvalersi di un legame farmaco-proteico, deve arrivare in mammella a una concentrazione terapeutica efficace (Mic), per cui la mammella deve avere una buona irrorazione vascolare; dunque non si può assolutamente pensare di far arrivare l'antibiotico in quarti mammari già parzialmente occlusi o peggio ascessualizzati.


Conclusioni

In buona sostanza gli esami batteriologici possono essere oggetto di errori umani e di false attese; non vanno dunque letti come "oro colato", ma possono essere utili nel quadro di un piano di risanamento da infettivi, hanno rispondenza se eseguiti più volte sullo stesso capo o sullo stesso quarto, possono risultare efficaci in caso di compravendita di animali in lattazione, oppure per cercare di rimediare a inefficaci ed inopportuni trattamenti terapeutici.

Gli esami batteriologici vanno sempre interpretati in collaborazione con il vostro veterinario aziendale, al fine di individuare le strategie utili a risolvere le problematiche che vi hanno indotto ad eseguirli.

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di Pier Angelo Cattaneo, medico veterinario