Le motivazioni, già esternate nelle scorse settimane, sono ribadite nella lettera di invito. “Il comparto attraversa una fase difficile – scrive Fava - dovuta all’andamento dei prezzi dei fattori di produzione; a questo si aggiunge l’incertezza generale per il settore agricolo, dovuta a un’evoluzione dei negoziati della nuova Pac, che incideranno negativamente sul reddito e in questo scenario occorre un richiamo al senso di responsabilità e di coesione di?tutti gli attori in campo”.
AgroNotizie ha chiesto un commento al prof. Renato Pieri, ordinario di Economia e politica agraria all’Università Cattolica di Piacenza e direttore di Smea, l’Alta scuola in Economia agro-alimentare, che ha sede a Cremona. Pieri, inoltre, è il curatore del rapporto annuale Il mercato del latte, edito da FrancoAngeli.
Professor Pieri, secondo lei ha fatto bene l’assessore Fava a convocare le parti in Regione?
“Certamente. Ha fatto bene, anche perché un politico deve sempre darsi da fare”.
Anche alla luce delle esternazioni di qualche anno fa dell’Antitrust, che censuravano il ruolo di cabina di regia della Lombardia in fase di trattativa sul prezzo del latte?
“Perché imporre uno stop alla Regione? La convocazione delle parti protagoniste dell’accordo è un diritto dell’assessore e ritengo che vanga abbia fatto benissimo ad esercitarla. Che poi dia risultati concreti ai fini di un accordo sul prezzo del latte è tutto da vedere. Ma questo è un altro aspetto”.
Ritiene che si debba concordare un unico prezzo o magari segmentarlo, come ha proposto il presidente della Cia, Mario Lanzi, tenendo conto delle diverse destinazioni del latte, cioè alimentare, formaggi freschi, formaggi Dop?
“Differenziare per tutti i canali di trasformazione finale è impossibile, ma distinguere tra il latte destinato alla produzione di formaggi Dop e altri prodotti lattiero caseari si dovrebbe fare. Non dimentichiamo che anche le cooperative hanno due prezzi se il latte ha un uso alimenare o se viene impiegati per i formaggi a denominazione d’origine”.
Questa volta si dovrà introdurre l’indicizzazione?
“Come Osservatorio latte e come studiosi l’indicizzazione la predichiamo da 20 anni, ma salvo il caso Piemonte non ha avuto alcun successo”.
Come mai?
“Principalmente per il fatto che le imprese esigono dati certi sui costi di produzioni e quindi non è ipotizzabile, per loro, non poter definire alcune variabili importanti del conto economico. Tutto questo salvo poi perdere tempo quando gli accordi sono fuori mercato, come ad esempio è avvenuto nel 2007 e nel 2008”.
Che durata dovrebbe avere, per lei, il contratto sul prezzo del latte?
“Dipende. Nel senso che se finalmente si accettano parametri indicizzati, allora va benissimo un accordo annuale. In caso contrario ritengo che il contratto non possa avere una durata superiore ai 3, massimo 6 mesi”.
Si riuscirà a raggiungere un accordo in tempi brevi, secondo lei?
“Mi chiede di fare l’indovino. È impossibile fare questo tipo di previsioni”.
Nemmeno una previsione sull’andamento dei mercati?
“Per il momento l’andamento del mercato è favorevole agli allevatori”.
Quale potrebbe essere il prezzo giusto, per lei? Gli allevatori chiedono 45 centesimi al litro, sui 42-43 centesimi forse si potrebbe trovare l’intesa…
“Il prezzo dipende se si tratta di latte alimentare o se finisce nel circuito delle Dop. Forse si potrebbe arrivare anche a 1-2 centesimi in più, ma non ho con me le carte, sono in treno e non mi faccia fare analisi avventate”.