Grazie al miglioramento vegetale in cinquanta anni la produzione di frumento in Europa è passata dalle tre tonnellate/ettaro alle otto dei giorni nostri. L'accresciuta efficienza e la maggiore produttività agricola ottenute con l'attività di breeding hanno permesso all'Unione europea di garantire la sicurezza alimentare ad una popolazione cresciuta rapidamente, evitando la conversione di enormi aree di habitat naturali in superfici agricole.

Il miglioramento varietale è alla base dell'agricoltura e la tutela della biodiversità è fondamentale per preservare una fonte inesauribile e sorprendente di materiale genetico da sfruttare in campo. D'altronde le sfide del prossimo futuro sono enormi: l'agricoltura ha il compito di sfamare in maniera sostenibile una popolazione umana in continua crescita (saremo 9,5 miliardi di persone nel 2050 secondo la Fao). Il tutto in un contesto di cambiamenti climatici e di diffusione a livello globale di nuove fitopatologie e insetti dannosi.

Un semplice accesso alle risorse genetiche vegetali è dunque di fondamentale importanza per mettere i ricercatori nelle condizioni di sviluppare varietà sempre più efficienti, nutrienti e resilienti. Esistono però degli ostacoli che frenano il potenziale di sviluppo del settore.


Il Trattato internazionale Fao e il Protocollo di Nagoya

Ad oggi l'accesso alla biodiversità vegetale è regolamentato da due strumenti: il Trattato internazionale Fao (Trattato internazionale sulle risorse genetiche vegetali per l'alimentazione e l'agricoltura) e il Protocollo di Nagoya. Il primo definisce un sistema semplificato di accordi standard tra le parti che facilita il lavoro dei breeder pubblici e privati. Sebbene includa le principali specie per l'alimentazione e l'agricoltura, le specie a cui si applica sono tuttavia limitate (tra le orticole solo pisello, cavolo, carota, fagiolo, cece e melanzane) ed esclude piante fondamentali come il pomodoro, la soia, la cipolla, la lattuga e molte altre (come le colture industriali).

Per tutte le specie vegetali non contemplate dall'Allegato 1 del Trattato Fao vige il Protocollo di Nagoya, dal nome della cittadina giapponese in cui è stato siglato. Un protocollo che, disciplinando tutte le risorse genetiche, anche quelle non a scopo alimentare, impone un complesso modello di gestione bilaterale che prevede diverse fasi per la procedura d'accesso alle risorse e di ripartizione dei benefici da esse derivanti.

In base a tale Protocollo, un ricercatore o un'azienda intenzionata ad utilizzare una data risorsa deve presentare domanda d'accesso al paese fornitore (della risorsa stessa) il quale deve dotarsi di un servizio nazionale di raccolta di tali richieste. Il paese deve fornire l'assenso preliminare con conoscenza di causa, detto "Consenso informato preventivo" (Pic). Le due parti sono poi chiamate a stabilire le clausole contrattuali, dette "Termini reciprocamente concordati" (Mat) che definiscono la modalità di ripartizione dei benefici con il paese fornitore.

Pic e Mat sono quindi elementi essenziali che un utilizzatore dovrà soddisfare per poter accedere ad una risorsa genetica. Il paese fornitore deve emanare l'autorizzazione, o certificato di compliance, mentre la correttezza del percorso delle risorse genetiche viene verificata da appositi punti di controllo, noti come checkpoints. Infine, le informazioni relative alla concessione di licenze e all'origine delle risorse devono essere condivise attraverso il centro di scambio sull'accesso e la ripartizione dei benefici detto "Clearing House".

Un modello che di fatto scoraggia le ditte sementiere, specie se piccole, a investire in ricerca e innovazione. Anche il semplice screening varietale, che consente di individuare, tra migliaia, la varietà che contiene caratteri interessanti, diventa difficile da affrontare.

Per questo il settore sementiero chiede che il Trattato Fao venga riconosciuto come regime ad hoc per l'utilizzo delle risorse genetiche in ambito agricolo, escludendo in questo modo l'applicazione del Protocollo di Nagoya. In questo modo si permetterebbe ai ricercatori, anche delle piccole aziende, di svolgere al meglio la propria attività senza essere ostacolati dalla burocrazia.

Per poter utilizzare tutta la biodiversità presente in natura, chi si occupa di miglioramento varietale può arrivare a fare centinaia se non migliaia di incroci. Una varietà di frumento prodotta dal Cimmyt (Centro internazionale per il miglioramento del mais e frumento in Messico), è ad esempio il risultato di 3.170 incroci che hanno coinvolto 51 'genitori' da ventisei paesi. Se si applicasse il Protocollo di Nagoya sarebbe praticamente impossibile per il costitutore documentare il percorso fatto per ottenerla.
 

L'esenzione del costitutore

Una norma a sostegno della ricerca è invece la cosiddetta 'esenzione del costitutore' (breeders' exemption) che autorizza i breeder a sfruttare il materiale genetico vegetale protetto per dare vita a nuove varietà. Un diritto, riconosciuto in ambito Upov (International union for the protection of new varieties of plants), che favorisce la ricerca applicando al settore una filosofia 'open source' tipica dell'economia moderna. Questo importante strumento è opportunamente salvaguardato dal Trattato Fao permettendo ai costitutori di accelerare i progressi nella selezione ed ampliando sempre più l'utilizzo della biodiversità esistente.

Per ottenere una nuova varietà oggi le ditte sementiere investono ingenti risorse, fino al 20% del fatturato, e molti anni di lavoro, anche più di dieci. L'obiettivo è fornire agli agricoltori e ai consumatori prodotti sani, nutrienti e buoni. Ma per farlo devono essere messi nelle condizioni di attingere liberamente alle risorse genetiche vegetali che la straordinaria biodiversità del pianeta mette a disposizione.