Nell'immaginario collettivo attuale, profondamente influenzato dalle pressioni mediatiche anti-chimica, un cibo è sano se non mostra tracce di "chimica". Come se questa fosse una brutta parola da non far sentire ai bambini.
La salubrità di un cibo dipende invece molto di più da altri fattori, come per esempio quelli batteriologici. Non a caso ammontano a sette i morti causati da un'infezione di Listeria che nella primavera 2018 ha colpito alcune partite di meloni provenienti dall'Australia. Per non parlare dei 51 morti dovuti a Escherichia coli nel 2011, in Germania, a causa di una partita di germogli infetti.
Un aspetto, quello microbiologico, che spesso viene scavalcato dall'ossessione contro la chimica, sebbene sia dai tempi della favola di Biancaneve che non si contabilizzano persone rimaste avvelenate dopo aver dato un morso alla fatidica mela.
Un cibo, inoltre, può essere più o meno salubre già di per sé a causa della sua stessa composizione. Un tagliere misto di salumi e formaggi, accompagnati magari da un cesto di gnocco fritto, anche se privo di residui o di microrganismi, lascia molto dubitare sul fatto di poterlo considerare un cibo "salubre", così come un sacchetto di patatine fritte o una bottiglia di vino. Tutte considerazioni che sono però più terreno da nutrizionisti che da agronomi.
Questi ultimi vengono invece chiamati alla pugna ogni volta si parli di pesticidi, come se questi fossero la causa numero uno di malesseri e patologie di cui sempre si parla, ma mai alcunché si dimostra. In attesa che cambi qualcosa nella percezione popolare dei rischi legati all'alimentazione, giovano però i periodici report sui residui, come per esempio quelli di Efsa, l'Autorità europea per la sicurezza alimentare.
Scorrendo l'ultimo pubblicato, nel 2016, si legge un totale di campioni analizzati pari a 84.657, alla ricerca di 791 sostanze attive. Nel 96,2% dei casi, pari a 81.482 campioni, i valori sono stati al di sotto dei limiti consentiti dalla legislazione dell'Ue. Di questi, il 50,7% non mostravano tracce quantificabili di residui.
Chi conosce i dati pluriennali potrebbe storcere il naso, però, dato che i dati 2015 apparivano migliori, con il 97,2% dei campioni che rientrava nei limiti di legge e il 53,3% privo di residui quantificabili. La spiegazione di questo apparente peggioramento è però sostanzialmente dovuta a una new entry nel novero di molecole cercate, ovvero lo ione clorato, incluso per la prima volta nel 2016 nei programmi di controllo per supportare il lavoro in corso alla ricerca dei livelli massimi di residui (LMR).
Nel 2016 sono stati prelevati anche 5.495 campioni di alimenti biologici, di cui il 98,7% erano entro i limiti di legge, mentre l'83,1% dei campioni era privo di residui quantificabili.
Quanto alla provenienza dei campioni testati, il 67% di essi proveniva da Stati membri dell'Ue, inclusi Islanda e Norvegia, mentre il 26,4% erano importati da paesi terzi. Il 6,6% dei campioni prelevati mostrava invece un'origine sconosciuta. Un punto di sicuro miglioramento, quello della tracciabilità dei prodotti, perché lascia perplessi che un alimento su 15 consumato in Europa non si sa neppure da dove venga. Non a caso, infatti, i limiti legali sono stati superati nel 2,4% dei campioni per i prodotti provenienti dai paesi dell'Ue, con il valore che sale al 7,2% nei campioni provenienti da paesi non Ue.
Buone notizie per i bambini
Ottimi risultati anche per le fasce più sensibili della popolazione, ovvero i bambini. Dei 1.676 campioni di alimenti destinati a lattanti e bambini piccoli, il 98,1% rientrava nei limiti consentiti dalla legislazione dell'Ue. Si quoti che ben l'89,8% dei campioni era privo di residui quantificabili.In sostanza, 9 alimenti su 10 per bambini sono considerabili attualmente a "residuo zero", anche se questo è un concetto molto pericoloso, perché fra qualche anno, migliorando le tecniche di rilevamento in laboratorio, i dati su esposti potrebbero cambiare profondamente, facendo pensare che tutto sta peggiorando quando invece non è affatto vero.