La sua diffusione sul territorio si sta espandendo a macchia d'olio con importanti ripercussioni economiche e nuove considerazioni ambientali.
"L'evento che abbiamo organizzato è stato un momento di incontro importante per trasmettere ai viticoltori le migliori pratiche agronomiche per la coltivazione della Glera", spiega ad AgroNotizie Diego Tomasi, direttore del centro Crea per la viticoltura di Conegliano.
"Abbiamo toccato diversi aspetti, dalla potatura alla concimazione, dagli stress ambientali alle malattie batteriche e virali. La ricerca sta investendo molto su questo vitigno di interesse regionale e nazionale ed è un bene che i viticoltori siano messi nelle condizioni di gestire la vigna nel migliore dei modi".
Tra i molti argomenti trattati uno che sicuramente ha catturato l'interesse della platea è stato la selezione di vitigni resistenti alle malattie fungine. "I trattamenti fitosanitari hanno un costo elevato in termini economici, ambientali e di salute pubblica", spiega ad AgroNotizie Barbara De Nardi, ricercatrice del Crea viticoltura di Conegliano.
"Vitigni resistenti permetterebbero di ridurre moltissimo il numero di trattamenti da effettuare contro oidio e peronospora".
Il giro d'affari del Prosecco è enorme (2,1 miliardi di euro l'anno), così come l'attenzione mediatica. In molti ricorderanno la puntata di Report di metà novembre in cui veniva espresso timore per la tutela della salute umana minacciata, secondo gli autori, dai trattamenti antimicotici effettuati in vigna.
Dottoressa De Nardi, attraverso quale strada state cercando di rendere la Glera resistente alle malattie fungine?
"Abbiamo incrociato il vitigno con delle selezioni resistenti di origine asiatica, americana e prossimamente caucasica. Vitigni che hanno dei geni che permettono alla pianta di resistere agli attacchi di oidio e peronospora, due funghi che sono un vero problema nell'area del Prosecco. Dagli incroci abbiamo ottenuto migliaia di nuove piante che ora sono in fase di studio".
Che cosa studiate?
"Prima di tutto attraverso un'analisi genetica ci accertiamo che la nuova vite frutto di incrocio abbia ereditato i geni di resistenza. In caso positivo facciamo crescere la pianta in attesa che fruttifichi. Ad oggi abbiamo circa trecento nuove viti che metteremo in campo questa primavera per poi valutare i caratteri enologici dell'uva".
I vitigni frutto di incrocio sono di fatto nuove varietà, esatto?
"E' corretto, infatti non possiamo dire che siano vitigni di Glera resistente perché da questo vitigno hanno ereditato solo alcuni caratteri. E infatti non appena la pianta produce le prime bacche andiamo a valutarne le qualità organolettiche ed enologiche".
Che cosa cercate?
"L'obiettivo è individuare quella pianta, frutto di incrocio, che abbia ereditato da un lato i geni di resistenza e dall'altro le caratteristiche peculiari dell'uva Glera. Non sarà facile perché molti dei nuovi vitigni probabilmente produrranno uve non adatte. E potremmo anche avere piante che producono un buon vino ma che non ha le caratteristiche necessarie al Prosecco. Per questo è importante lavorare su grandi numeri".
Sono possibili più incroci successivi?
"Assolutamente sì. Il vitigno ottenuto da un incrocio tra una vite resistente e la Glera, se eredita i geni di resistenza e caratteristiche enologiche interessanti, può essere a sua volta incrociato con la Glera stessa per avvicinarsi ancora di più all'obiettivo: avere un vitigno resistente che dia uve utili alla produzione del Prosecco".
La produzione del Prosecco è regolata da un disciplinare che determina i vitigni ammessi alla vinificazione. In futuro questi disciplinari andranno modificati per permettere l'uso delle varietà resistenti?
"I vitigni dovranno prima essere inseriti nell'albo nazionale, ne deve poi essere autorizzata la produzione sul territorio e per poter far parte dell'uvaggio del Prosecco bisognerà modificare i disciplinari. Credo che ci sarà da combattere, ma se vogliamo andare verso una produzione sostenibile questa è la strada".
Quando potremmo vedere sul mercato le prime barbatelle di vite resistente?
"Ci vorranno ancora molti anni, forse dieci, prima di arrivare alla commercializzazione. I processi di incrocio e selezioni richiedono molto tempo".
Questi nuovi vitigni sostituiranno la Glera in Veneto e Friuli?
"Io non credo, saranno piuttosto complementari. Potrebbero essere utilizzati vicino ai centri abitati, alle scuole o ai parchi, in modo che si creino delle zone cuscinetto che proteggano la popolazione dalla deriva degli agrofarmaci. Oppure nelle zone impervie, dove il passaggio degli atomizzatori è difficoltoso. Ma non poniamo limiti alla casualità, potremmo anche ottenere un nuovo vitigno assai simile per caratteri organolettici all'attuale Glera".
Secondo lei perché varietà resistenti, come le Piwi, non hanno una grande diffusione in Italia rispetto al Nord Europa?
"Dipende da come si interpreta il vino. Se il viticoltore lo ritiene un prodotto che può evolvere ed essere migliorato l'introduzione di viti resistenti è ben accetta.
Il problema è che in molte aree il vino è tradizione, paesaggio, storia e appare sbagliato abbandonare vitigni antichi per le nuove varietà resistenti. E' una questione culturale. Inoltre le viti Piwi, proprio perché selezionate in paesi nordici, non sono adatte alle nostre condizioni pedo-climatiche. E' importante, quindi, dare delle alternative ai viticoltori calate nella realtà locale, caratterizzanti il nostro territorio e in grado di valorizzarlo anche sotto l'aspetto della sostenibilità".
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