Saranno pur minori, ma considerarle marginali per questo sarebbe un grave errore. Questo secondo Assosementi, la quale apre il convegno organizzato da Sirfi, ovvero la Società italiana per la ricerca sulla flora infestante. Convegno tenutosi il 27 ottobre presso il Parco Tecnologico Padano di Lodi anche grazie alla sponsorizzazione di Sipcam Italia.
 
Fra le colture cosiddette “minori” vi rientra la maggior parte delle colture da orto, mentre fra le cosiddette “molto minori” ricadono per lo più le erbe aromatiche e altre colture di nicchia. Nicchie comunque preziose prese nel loro insieme, grazie all’elevato valore economico e culturale dei prodotti finali a dispetto delle superfici coltivate effettivamente minime. Basti pensare che molti di questi prodotti sono Igp o Dop, valorizzando anche i mercati di prossimità e i territori d’origine. Arricchiscono inoltre l’offerta grastronomica nazionale, la quale senza questi ingredienti preziosi perderebbe gran parte del proprio mordente.

Dal punto di vista puramente economico, quello delle colture minori è un business pari a 70 miliardi di euro, rappresentando il 22% del totale delle produzioni vegetali della Ue.
 
Sempre per Assosementi è quindi forte la preoccupazione in tema di sementi e concia, a causa di un carente coordinamento a livello comunitario, come pure a causa di una carenza d’informazioni sulle attività in corso. Scarsa infine risulterebbe anche la disponibilità di incentivi per l’industria, chiamata a sostenere oneri aggiuntivi in termini di sviluppo e registrazioni. Sono infatti centinaia di migliaia di euro gli investimenti necessari per redigere un dossier registrativo e un’azienda non investe certo su una coltura se poi i ritorni non sono sufficienti in termini di volumi economici.
 
La ridotta disponibilità di molecole crea perciò problemi seri in termini di difesa. Servirebbero quindi procedure semplificate di registrazione, come pure un maggior livello di armonizzazione a livello comunitario. Peccato che queste siano già previste nelle norme eurocomunitarie e che negli altri Paesi della Ue le stiano già applicando con profitto. Cosa manchi quindi all’Italia per fare altrettanto non si capisce bene.
Del resto, siamo anche l’unico Paese che adotta prevalentemente l’approccio “esclusivo” quando si tratti di redigere i disciplinari di produzione integrata. Anche in questo caso, va ammesso, il Bel Paese è proprio leader nel distinguersi in Europa. Peccato non sia certo nel bene.
 
Fra i molteplici problemi che affliggono le colture minori, a causa di tali ristrettezze fitoiatriche, le malerbe sono una spina nel fianco di tecnici e agricoltori. La povertà di mezzi tecnici disponibili rende il problema ancor più grave data la scarsa competizione che queste colture possono esercitare contro le malerbe stesse.
Basti pensare a zucca e basilico, i cui appezzamenti possono giungere a fine ciclo apparendo quasi come dei campi abbandonati da tanto copiose sono le infestazioni. Per non parlare di bulbose come l’aglio, il cui apparato radicale superficiale rende molto delicata anche la pratica della sarchiatura.
 
Le malerbe vanno poi affrontate a seconda del periodo colturale, dato che le popolazioni che affliggono le colture a ciclo autunnale/vernino spesso non sono le stesse che infestano le colture primaverili estive.  
 

Resistere, resistere, resistere

 La scarsità di molecole utilizzabili aggrava inoltre gli scenari malerbologici anche in termini di resistenze. L’uscita di molti prodotti dal mercato ha accelerato la comparsa di tali fenomeni. Una coltura acquatica come il Calamo aromatico, per esempio, può patire di malerbe rese resistenti dalle reiterata coltivazione del riso.
Su arachide sono invece utilizzabili solo pendimethalin e benfluralin, mentre su cotone clomazone e ciclossidim. A livello mondiale sono già stati segnalati alcuni casi di resistenza ad alcune di queste molecole. Per fortuna, molecole come pendimethalin e clomazone sono considerati a basso rischio di resistenze.
 
La normativa europea, peraltro, si esprime in modo molto chiaro sulla necessità di “prevenire” le resistenze. E prevenire è molto diverso dal rincorrere. Dato che l’ultimo meccanismo d’azione innovativo risale al 1996, quando venne registrato sulcotrione, primo fra i trichetoni, sarebbe bene tener da contro le famiglie chimiche in uso, alternandole fra loro in modo da scongiurare questi problemi prima che si palesino, anziché organizzare poi incontri tecnici a posteriori, interrogandosi sui perché e sui percome quando questi sono decisamente chiari a tutti: se si lascia a combattere la sola fanteria, togliendole l’appoggio di aviazione e forze corazzate, la battaglia è solo questione di tempo prima che venga persa.
 
Di certo, facendo con quel che resta di utilizzabile, o si conoscono molto bene le caratteristiche intrinseche delle diverse molecole, oppure non si potranno strutturare efficaci programmi di difesa. Per esempio, tensione di vapore, solubilità in acqua e coefficiente di ripartizione sostanza organica/acqua sono parametri importanti per comprendere in anticipo il comportamento delle sostanze attive. Anche le formulazioni possono giocare un ruolo importante, come per esempio la microincapsulazione, la quale minimizza le perdite per volatilizzazione e ottimizza il rilascio degli erbicidi.
 
In attesa che quindi il paradosso tutto italiano delle “procedure semplificate” si dipani e che si metta fine alle decimazioni spesso ideologiche delle molecole utilizzabili, non resta che sperare che i tecnici di campo siano sempre un po' più bravi di quelli che lavorano negli uffici in cui si decide il destino della fitoiatria europea e nazionale.