Blue tongue, lingua blu, febbre catarrale degli ovini, sono molti i nomi con i quali si identifica una stessa patologia che colpisce ovini e bovini, ma che in questi ultimi causa pochi problemi.
Nelle pecore, al contrario, la sintomatologia è imponente, la mortalità elevata e i danni, di conseguenza, pesanti.

Diffusa in tutto il mondo, e anche in Italia, la sua presenza va di pari passo con la concentrazione di allevamenti ovini e la Sardegna, dove si ha una parte rilevante del nostro patrimonio ovino, è la regione che ne paga le maggiori conseguenze.
 

I sintomi

Poiché riconoscere la malattia è il primo passo per arginarne la diffusione, rivediamone insieme i principali sintomi, diversi a seconda che si tratti di una forma iperacuta o solo acuta. Rari i casi di forme croniche.

Nella forma acuta i primi sintomi sono la febbre (con temperature anche sopra i 40 gradi) e la mancanza di appetito, situazione che si protrae per circa una settimana. In seguito si ha un ingrossamento della testa, conseguenza di un edema di questa regione che interessa in particolare le palpebre e la parte inferiore della mandibola.

All'interno della bocca si osserva, ma non sempre, una lingua ingrossata, che in taluni casi esce dalla bocca.
Inoltre la lingua può apparire bluastra (cianotica) e con chiazze emorragiche nella parte inferiore.

I problemi alla bocca portano ad una eccessiva produzione di saliva (scialorrea) che tende a fuoriuscire con aspetto schiumoso. E' interessato anche il naso, e le narici si possono ricoprire di croste dopo la fuoriuscita di muco.

Anche gli arti possono essere sedi di lesioni, in particolare emorragiche, più frequenti alle zampe posteriori. Ne deriva una evidente difficoltà nei movimenti.

La compromissione dello stato generale di salute dell'animale è poi responsabile dei frequenti casi di aborto.

La forma cronica, meno frequente, si riscontra in animali con zoppie o torcicollo, mentre la forma iperacuta porta rapidamente a morte l'animale a causa dell'interessamento dei polmoni (edema polmonare) che compromette la respirazione.
 

Il responsabile

A causare tutti questi problemi è un virus, che gli esperti classificano come appartenente alla famiglia dei Reoviridae, genere Orbivirus, del quale se ne conoscono attualmente 27 sierotipi, identificati con la sigla BTV, seguita dal numero di appartenenza.

In Italia la blue tongue è arrivata nel 2000, in Sardegna, con il BTV2, seguito da altri focolai dello stesso ceppo in Sicilia e in Calabria. A questi primi episodi ne hanno fatto seguito altri, con questi sierotipi: 1, 4, 8, 9 e 16.

A fine novembre l'Istituto zooprofilattico di Teramo, dove ha sede il Centro di referenza nazionale per la blue tongue, ha isolato per la prima volta la presenza del sierotipo 3 in un allevamento in provincia di Trapani, come si può approfondire su AgroNotizie.


Come si trasmette

La trasmissione della malattia da un animale all'altro avviene con la "complicità" di un insetto del genere Culicoides, un moscerino ematofago di appena due millimetri, capace di pungere e succhiare, come la comune zanzara.
E come la zanzara, è attivo in particolare nelle ore notturne e predilige le zone umide, mentre il suo unico nemico è il pipistrello.

Il suo volo è breve, ma il vento lo può trasportare per chilometri. Le tempeste di sabbia, ad esempio, sono indicate fra le cause che hanno consentito alla blue tongue di giungere dal Nord Africa all'Italia.

Oggi la presenza del virus è segnalata in tutto il mondo. Dall'Australia alle Americhe, all'Estremo Oriente e ovviamente all'Africa.


Come difendersi

Per difendersi dalla blue tongue non vi è che una via, quella della prevenzione, che può avvenire attuando una profilassi diretta, evitando per quanto possibile le vie di contagio, o una profilassi indiretta, favorendo negli animali la comparsa di un'immunità, attraverso la vaccinazione.

La profilassi diretta è tesa a contrastare la presenza del Culicoides, l'insetto attraverso il quale il virus viaggia da un animale all'altro.
Si possono utilizzare piretroidi con funzione di repellenti sugli animali, ma la loro efficacia è modesta e limitata nel tempo.
Stessa cosa per per le disinfestazioni ambientali. Ridurre la presenza dell'insetto vettore con trattamenti antilarvali (come si fa per le comuni zanzare) può avere qualche beneficio, ma i limiti sono evidenti, specie se si pensa agli animali al pascolo.

La profilassi indiretta si basa sull'impiego di vaccini, ma va tenuto conto che la protezione che si acquisisce riguarda esclusivamente il sierotipo presente nel vaccino stesso.
Motivo che rende quanto mai importante la sorveglianza della malattia da parte delle autorità sanitarie per conoscere quali sono i sierotipi in circolazione.

I vaccini sono di due tipi, attenuato e inattivato. Il primo contiene ancora il virus vivo, capace di dare immunità, ma non di scatenare la malattia. Seppure in forma ridotta, il virus conserva un'attività patogena che ne sconsiglia l'uso sugli animali gravidi.
Inoltre il virus è presente per circa un mese nel sangue degli animali vaccinati, per cui la vaccinazione va eseguita solo durante il periodo invernale, quando si ha la certezza che il Culicoides non sia attivo.

Più sicuro è l'uso di vaccini inattivati, nei quali la virulenza è azzerata, pur conservando la capacità di dare una risposta immunitaria. Che tuttavia è meno efficace e richiede più interventi, rendendo l'operazione più costosa.
 

Gli obblighi

Le difficoltà nel tenere sotto controllo questa malattia giustifica la severità delle norme di polizia veterinaria da attuare in presenza di eventuali focolai.

Scatta l'obbligo della denuncia, e al proprietario degli animali si chiede già al primo sospetto di isolare gli animali ammalati e attendere le disposizioni del veterinario comunale.
Queste saranno tutte rivolte ad evitare il diffondersi della malattia, con la definizione delle zone infette, di protezione e di sorveglianza. Nel primo caso, zona infetta, l'area interessata avrà un raggio di 20 chilometri all'interno dei quali è vietata la movimentazione degli animali.

La zona di protezione ha un raggio di 100 chilometri oltre ai quali si estende, per altri 50 chilometri, la zona di sorveglianza.
In talune situazioni, per evitare il blocco delle attività degli allevamenti, le autorità sanitarie possono modulare diversamente queste aree.
 

Vaccinazione e collaborazione

La vaccinazione di massa, consentita solo nelle zone sottoposte a restrizione, resta uno dei pilastri per la lotta a questa malattia.

Non meno importante è il rispetto delle disposizioni delle autorità sanitarie con le quali gli allevatori sono chiamati a una stretta collaborazione.
E' questa una condizione indispensabile per tenere sotto controllo un virus capace altrimenti di mettere sotto scacco tutto il settore ovino.