I dati Fao però indicano un settore vitale che vede l'Italia come secondo produttore mondiale dopo la Cina. L'Italia nel 2012 presenta 25.171 ettari di actinidia per una produzione commercializzabile pari a circa 4.500 tonnellate; nel 2011 la superficie era di 24.930 ettari, per una produzione commercializzabile di 4.300 tonnellate (Fonte Istat).
“In Emilia-Romagna l'actinidia si estende su circa 4.500 ettari - spiega Tiberio Rabboni, assessore regionale all'Agricoltura - per una produzione complessiva di circa 80 mila tonnellate: il 75% nella sola Provincia di Ravenna. Questi dati dimostrano l’importanza della coltura per l’agricoltura e per l’economia regionale. Per questo motivo la Regione ha deciso l’anno scorso di finanziare un progetto di ricerca per acquisire maggiori informazioni e strumenti per contrastare la malattia”.
Il kiwi rimane dunque un frutto di grande valore e di grande prospettiva, con i produttori che cominciano a convivere con la batteriosi grazie alle misure di prevenzione e di informazione che sono state prese per arginare il contagio.
E' necessario però non abbassare la guardia sul fronte della Psa, che dimostrato una forte aggressività e un’elevata velocità di diffusione. Diversi studi hanno portato però ad una maggiore conoscenza del batterio dal punto di vista biologico ed epidemiologico.
“Il 2012 sembra essere un anno con sintomi meno gravi rispetto al 2011 - spiega Loredana Antoniacci del Servizio fitosanitario della Regione Emilia-Romagna -, con la presenza principalmente di lesioni fogliari. Quest’anno abbiamo riscontrato 98 nuovi casi, concentrati principalmente nella Provincia di Ravenna. Nel 2009 le aziende colpite erano 2, nel 2010 erano 11, nel 2011 sono state 128. Complessivamente gli ettari colpiti sono circa 600 (14% della superficie regionale).
Per avere un adeguato contenimento della malattia durante l’intera stagione, oltre agli interventi diretti e indiretti, è necessario controllare periodicamente l’impianto per individuare precocemente le infezioni e intervenire preventivamente.
Per dare un reale supporto alla lotta di questa temibile patologia, abbiamo messo a punto un protocollo degli interventi che devono essere fatti sugli impianti. Allo stato attuale le uniche azioni efficaci risultano: eliminazione delle parti infette (o delle intere piante infette), attuazione di adeguate pratiche colturali, mantenimento di un basso livello batterico attraverso l’uso del rame (soprattutto in prevenzione alle piogge). Tutto questo però non permette di poter escludere la possibile infezione. Crediamo che sia necessario continuare nel lavoro di ricerca allo scopo di aumentare le nostre conoscenze e di migliorare il sistema produttivo del kiwi”.