Il 2023, primo anno di applicazione della nuova Politica Agricola Comune, ha visto crescere in Italia le superfici investite a biologico e il numero di operatori coinvolti. I dati del rapporto Bio in cifre, presentato il 17 luglio 2024 a Bracciano in occasione dell'ormai tradizionale "Appuntamento con il bio", indicano un incremento del 4,5% della Sau biologica sul 2022, mentre il numero di operatori (produttori, trasformatori, importatori) cresce dell'1,8%, un ritmo molto più blando rispetto al +7,7% dell'anno precedente.
Con il passaggio alla nuova programmazione della Politica Agricola Comune e il cambiamento di alcune regole - viene evidenziato nel Rapporto - sono emerse alcune criticità sia dal lato delle amministrazioni regionali, che hanno dovuto revisionare una macchina organizzativa collaudata dopo anni di politiche di sviluppo rurale, cimentandosi per la prima volta con la programmazione delle misure del Primo Pilastro, sia dal lato delle aziende beneficiarie, nella difficile impresa di orientarsi nel fitto reticolato di vincoli, impegni e interventi, con questi ultimi talvolta in concorrenza tra loro per la non cumulabilità degli aiuti.
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Uno scenario reso ancora più complesso dall'inasprimento, protrattosi nel 2023, dei costi di produzione, che ha accentuato nel settore la dipendenza dai sussidi pubblici, in un contesto aggravato dagli eventi climatici avversi che hanno colpito diverse aree del Paese, rendendo le operazioni in campagna, soprattutto per le aziende biologiche, più onerose e difficoltose anche nella gestione agronomica.
Il bilancio del 2023 restituisce comunque un quadro positivo per l'agricoltura biologica italiana, che con 2,5 milioni di ettari, pari a quasi il 20% della Sau nazionale, riduce ulteriormente la distanza dal target del 25% fissato, entro il 2030, dalla Strategia Farm to Fork. Risultati che rafforzano la leadership dell'Italia tra i Paesi dell'Ue, ormai pluriennale.
"Il rapporto - ha affermato il sottosegretario all'Agricoltura, Sovranità Alimentare e Foreste, Luigi D'Eramo - è un'ulteriore conferma della consolidata leadership del nostro Paese a livello europeo, e non solo. L'Italia del biologico continua a crescere, sia per superfici sia per numero di operatori. Quasi il 20% di Sau agricola è bio, un dato che ci proietta a raggiungere prima del 2030 il target Ue del 25%. Un trend positivo - ha proseguito D'Eramo - che potrà ulteriormente migliorare grazie alle numerose misure messe in campo in questi mesi: dall'approvazione del Piano d'Azione Nazionale per la produzione biologica ai provvedimenti a sostegno dei biodistretti e delle filiere bio. Puntiamo ora a realizzare quanto prima il marchio del biologico italiano: unito a una corretta informazione e comunicazione potrà sostenere un rilancio dei consumi interni e la crescita sui mercati esteri, per continuare così anche in futuro a essere leader nel settore".
Ma la presentazione di questi dati ha suscitato la reazione di Coldiretti, che ha scodellato quelli della Commissione Ue sulle importazioni in Italia di cibi bio da Paesi terzi, cresciute in un solo anno del 40%, e che rischierebbero di mettere in discussione il primato italiano nella produzione bio, per il quale non è ancora operativo il marchio per il biologico italiano, approvato per legge due anni fa.
Invece Confcooperative fa presente che i consumatori - anche nel bio - scelgono i prodotti più convenienti, glissa sul marchio e avverte: serve rendere la filiera più efficiente per moderare i valori sullo scaffale del bio nazionale e renderlo più attraente anche nel prezzo.
Il rapporto Ismea sul Bio
Nel dettaglio, il rapporto Bio in Cifre curato da Ismea in collaborazione con il Ciheam Bari nell'ambito del programma Masaf "Dimecobio", evidenzia una Sau biologica prevalentemente orientata a seminativi (42,1%), davanti a prati e pascoli (29,7%), colture permanenti (22,8%) e ortaggi (2,5%). La crescita delle superfici ha riguardato soprattutto prati e pascoli e colture industriali e foraggere, mentre hanno perso ettari le proteiche e le produzioni cerealicole. Crescono, seppure a un ritmo più attenuato, le ortive, in un'annata che ha invece confermato la superficie bio complessiva delle coltivazioni permanenti, nonostante le riduzioni di viti, agrumi e frutta fresca, compensate dagli incrementi di ulivi e frutta in guscio.
L'incremento della Sau ha riguardato principalmente le regioni centrali e settentrionali. Il Mezzogiorno mantiene tuttora l'incidenza più elevata, con il 58%, ma si sta assistendo a un graduale riequilibrio della distribuzione geografica delle superfici, con la ripartizione del Centro Nord che ha quasi raddoppiato in dieci anni gli investimenti nel bio.
L'evoluzione più recente mostra, ma in pochi casi, situazioni anche in controtendenza, evidentemente dovute alle diverse politiche adottate delle amministrazioni regionali. Emblematico il caso della Provincia Autonoma di Trento, che ha perso oltre il 40% della Sau biologica nel 2023 per la decisione dell'Autorità di gestione di concedere i pagamenti riservati alle superfici foraggere e ai pascoli alle sole aziende con allevamenti, nell'ambito di una strategia di rafforzamento della zootecnia biologica locale.
Una flessione, seppure contenuta, si è riscontrata anche in Emilia Romagna - nonostante il budget consistente sugli interventi a favore del biologico -, fenomeno che gli esperti tendono però ad associare agli eventi catastrofali dello scorso anno, in particolare alla devastante alluvione del maggio 2023.
Oltre alle superfici, sono aumentati gli operatori, che hanno raggiunto il numero complessivo di 94.441 unità, 1.642 in più rispetto al 2022. Il fenomeno ha riguardato soprattutto le circa 84mila aziende agricole (l'89% del totale degli operatori biologici) e, tra queste, in particolare la componente dei produttori/preparatori, a conferma della tendenza a introdurre in azienda l'attività di prima trasformazione per trattenere una quota maggiore di valore aggiunto.
Infine, i consumi domestici di prodotti biologici, relativi al solo canale della Gdo, hanno toccato i 3,8 miliardi di euro, registrando un incremento del 5,2% sul 2022 (si tratta del tasso di crescita più sostenuto degli ultimi anni), seppure a fronte di volumi invariati. Il confronto con la dinamica generale degli acquisti di prodotti alimentari, cresciuti dell'8,1% in valore ma scesi dell'1,1% in quantità, evidenzia la minore spinta inflattiva del reparto biologico rispetto alla dinamica osservata per il carrello convenzionale.
"Il biologico è centrale nelle ambizioni green dell'Europa e dell'Italia - ha dichiarato il presidente Ismea Livio Proietti - e lo dimostra anche la pluralità di interventi normativi e di azioni strategiche che il nostro Paese ha riservato al settore, tra cui il Piano Nazionale per la Produzione Biologica, varato quest'anno, e il Decreto del 2023 che esalta il ruolo e l'importanza dei biodistretti, come quello del lago di Bracciano e Martignano, di cui oggi abbiamo potuto apprezzare le qualità. Dopo anni difficili, dovuti soprattutto ai forti aumenti dei prezzi seguiti allo shock energetico del 2022, il settore deve adesso recuperare appeal agli occhi dei consumatori - ha aggiunto Proietti - oggi disorientati dai tanti prodotti che si fregiano di messaggi allusivi alla salute e alla sostenibilità, ma che a differenza del biologico, non sono sottoposti a rigidi controlli e a rigorose regole di produzione".
Coldiretti, importazioni bio +40% una minaccia
I record del bio italiano sono minacciati dall'aumento spropositato delle importazioni di prodotti biologici dall'estero, cresciute del 40% nel 2023, in controtendenza rispetto al dato dell'Unione Europea. Prodotti che non assicurano la stessa qualità e sicurezza di quelli nazionali ma che finiscono spesso per essere venduti come tricolori grazie alla mancanza di un'etichettatura d'origine riconoscibile. È l'allarme lanciato da Coldiretti Bio in occasione della diffusione dei nuovi dati Ismea sull'agricoltura biologica.
Gli arrivi di cibo biologico extra Ue in Italia - spiega Coldiretti - sono passati dai 177 milioni di chili del 2022 ai 248 milioni del 2023, secondo l'ultimo rapporto della Commissione Ue, mentre quelle totali nell'Unione Europea sono diminuite del 9%. Il nostro Paese ha così scavalcato la Francia salendo al quarto posto tra i maggiori importatori dietro Olanda, Germania e Belgio. Il rischio è che l'invasione di prodotto straniero a basso costo finisca per mettere all'angolo quello italiano di qualità, causando un'inversione di tendenza rispetto alla crescita dei terreni coltivati. E facendo diventare l'Italia un Paese importatore invece che produttore. "In questo modo andrebbero vanificati gli sforzi delle imprese agricole che hanno consentito in questi anni di raggiungere la percentuale di quasi un terreno su cinque coltivato con metodo bio, mentre sei regioni hanno addirittura già superato l'obiettivo indicato dall'Ue del 25% della superficie totale" afferma Coldiretti.
Il settore dove è stato più evidente l'aumento degli arrivi è quello dei cereali. Nel giro di un anno le importazioni di grano bio - rileva Coldiretti - sono aumentate di oltre trenta volte da 1,5 milioni di chili a quasi 32 milioni di chili. Cereale magari usato per fare pasta, pane e altri prodotti con il logo del biologico. Aumenti record anche per gli ortaggi bio, cresciuti dell'84%. In crescita pure gli arrivi di olio d'oliva (+15%) con l'Italia che è oggi al primo posto tra i Paesi importatori. Nel 2023 ne sono entrati nel BelPaese oltre 24 milioni di chili, più della metà del totale importato in tutta l'Ue.
"Per tutelare il lavoro delle oltre 84mila imprese che hanno scelto il metodo di produzione bio è dunque urgente fare ogni possibile sforzo per valorizzare il prodotto agricolo biologico nazionale - sottolinea Maria Letizia Gardoni, presidente di Coldiretti Bio -, favorendo la creazione di filiere interamente made in Italy, dal campo fino alla tavola e rendendo operativo il marchio del biologico italiano, previsto dalla Legge 23/2022, fortemente sostenuta da Coldiretti. Solo in questo modo i consumatori potranno riconoscere immediatamente, dalle etichette, le produzioni biologiche nazionali garantite e certificate. Ma è anche necessario che l'Unione Europea - aggiunge la Gardoni - renda operativo al più presto il principio di conformità rispetto alle importazioni, ovvero stesse regole per il bio comunitario e quello dei Paesi terzi, poiché non è possibile accettare che entrino nel nostro Paese cibi coltivati secondo regole non consentite nella Ue. Fermare la concorrenza sleale delle importazioni a basso costo e valorizzare il vero prodotto tricolore sono le condizioni fondamentali per costruire filiere biologiche dal campo alla tavola".
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Confcooperative, anche nel bio prezzo guida scelta consumatori
I consumatori oggi comprano biologico di qualità ma il vero fattore di scelta è il prezzo: "In tema di mercato e consumi dei prodotti biologici, la questione del prezzo finale al consumatore sta assumendo una valenza crescente, dal momento che i consumatori cercano sempre più prodotti da filiera controllata e biologici, ma che abbiano prezzi competitivi". Parola del presidente del settore biologico Confcooperative Francesco Torriani, intervenuto il 17 luglio scorso in rappresentanza di Alleanza Cooperative Agroalimentari all'iniziativa "Appuntamento con bio", organizzata da Ismea.
Torriani ha le idee chiare: "Se da un lato vanno combattute le pratiche commerciali sleali che portano a remunerare il valore della materia prima in maniera da non coprire, in taluni casi, neanche i costi di produzione, dall'altro lato non si può pensare di scaricare sul consumatore le inefficienze delle filiere produttive, ma occorre fare un salto di qualità nell'organizzazione della filiera al fine di provare a ridistribuire almeno parte del valore aggiunto che si intercetta con la vendita del prodotto finito verso la produzione primaria".
Non solo: "Se c'è una filiera produttiva davvero efficiente è quella che aggrega la produzione primaria e la integra con le successive fasi di trasformazione e la commercializzazione del prodotto finito. In tutto questo è evidente il ruolo strategico della cooperazione agroalimentare".
Il presidente Torriani ha proseguito sottolineando l'esigenza che vengano incentivati campagne e progetti promozionali capaci di mettere in luce tutti gli asset valoriali del biologico al consumatore ordinario, con finalità educative e al tempo stesso commerciali. Occorrono anche "politiche coerenti e sistemiche in grado di sostenere davvero le filiere produttive, incentivando ulteriormente il livello di aggregazione".
Il presidente del settore biologico ha inoltre commentato nel corso del suo intervento anche lo schema del Decreto ministeriale sui controlli. "A nostro avviso - ha dichiarato - il testo del Decreto non si limita a dare attuazione alla nuova normativa comunitaria, ma introduce anche una serie di complessità burocratiche e di ulteriori oneri amministrativi che andranno a gravare sugli operatori biologici con relativo aumento dei costi e che può persino scoraggiare i produttori dall'aderire al sistema di certificazione".
In particolare Torriani ha espresso criticità rispetto alle non conformità, che - spiega - "nello schema di Decreto si presume sempre siano intenzionali, salvo prova contraria, che deve essere fornita dagli stessi operatori, cosa che di fatto introduce una presunzione legale di colpevolezza".