Abbiamo visto, partecipando alle iniziative dell'ottimo Antonio Felice di Omnibus Comunicazione, quanto grande sia l'interesse dei fondi di investimento per l'agricoltura italiana. La cosa non ci meraviglia: tutti sanno che l'Italia, in Europa, è seconda solo alla Germania nella manifattura industriale; in pochi invece sanno che per l'agricoltura e l'agroalimentare contendiamo da sempre il primato alla sola Francia.
Nel mondo attualmente vi sono oltre 800 fondi di investimento specializzati nel settore agroalimentare, per un totale di 125 miliardi di dollari di capitali investiti.
In Europa i fondi concentrano la propria attività nel settore del Private Equity, ovvero la tecnica di investimento che consiste nel finanziare società non quotate in borsa ma con forti capacità di crescita. Il Fondo poi disinvestirà un volta raggiunta un'adeguata plusvalenza dalla vendita della partecipazione azionaria. I settori anche innovativi che possono portare a interessanti plusvalenze in Italia non mancano e tutta l'agricoltura italiana si potrebbe inoltre giovare dell'apporto di nuovi strumenti di gestione economico finanziaria e manageriale. Non sono mancate negli ultimi anni le iniziative di rilievo. Il fondo di Private Equity IDeA Agro (gruppo DeA Capital) ha già per esempio investito in uva da tavola, noci, nocciole e verdure surgelate.
La Banca MPS ha avviato l'apertura di 12 centri specialistici dedicati mentre Banca Intesa ha creato una direzione AgriBusiness a Pavia. Il Fondo Italiano di Investimento ha lanciato un fondo Agritech&Food con 150 milioni di euro di dotazione iniziale e BPM Banca ha creato un progetto per la valorizzazione delle filiere e reti di impresa.
Potremmo andare ancora avanti ma ci chiediamo: si tratta di iniziative - come dicono gli americani - di "cherry picking", di scelta del meglio, oppure siamo agli albori di un nuovo sistema agricolo?