Siamo sotto elezioni e uno dei temi più ricorrenti è l'ambiente.

Se ne parla, molto - spesso a sproposito.

 

Prendiamo due degli argomenti che rappresentano veri e propri cavalli di battaglia dei politici di tutte le fazioni: la sovranità alimentare (si intende una certa autosufficienza produttiva) e il consumo di suolo.
La vulgata è che bisogna produrre alimenti (e anche esportare) di più e meglio e che bisogna salvaguardare i territori dalla cementificazione selvaggia, proteggendo l'ambiente e l'agricoltura, evitando il dissesto idrogeologico, salvaguardando le acque etc etc etc. Lo zero consumo di suolo è un obbiettivo spesso propalato e addirittura entrato in alcune legislazioni regionali. La realtà tuttavia è molto diversa.

 

L'ultimo rapporto Ispra, presentato a fine luglio, rende conto di una situazione paradossale. Il valore del consumo del suolo in Italia nel 2021 è stato il più elevato negli ultimi dieci anni: 19 ettari al giorno. In un solo anno sono stati coperti di asfalto, cemento, abitazioni e infrastrutture 70 chilometri quadrati. Dal 2006 al 2021 il nostro Paese ha perso 1.153 chilometri quadrati, per intenderci più o meno la grandezza di una provincia.

 

Regioni come Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna sono andate alla grandissima, seguite al Sud da Campania e Sicilia. Ricordiamo che l'espansione immobiliare, spesso secondo l'aberrante principio urbanistico dello sprawling (spalmatura), provoca non solo la ovvia riduzione della produzione agricola ma attraverso l'impermeabilizzazione (sealing) dei suoli l'altrettanto ovvia diminuzione della capacità di assorbimento della CO2 e poi allagamenti, ondate di calore e chi ne ha più ne metta, per poi parlare dal barbiere delle stagioni che non sono più come una volta.

 

Nel linguaggio universale dei soldoni il danno stimato dall'Ispra è pari a 8 miliardi all'anno. Abbiamo detto situazione paradossale: lo è per il fatto che l'Italia è un Paese in regressione demografica (con proiezioni disastrose) e che ha un immane patrimonio immobiliare disabitato, inutilizzato, spesso avviato alla rovina sia nelle aree urbane sia in quelle rurali. La ricchezza creata con le nuove costruzioni potrebbe quindi rivelarsi effimera - non certo destinata alle prossime generazioni, che invece vedono le (loro) risorse future assottigliarsi e degradarsi.

Il contrario del millenario processo agricolo.