Non si trovano operai agricoli. È questo l'allarme che proviene da un numero sempre maggiore di aziende. Mancano addetti alla stalla, raccoglitori, trattoristi e figure specializzate. Complice anche l'aumento dei prezzi di tutti gli input produttivi il risultato è che molte aziende agricole potrebbero ridurre le attività, con un danno per tutto il Paese.

 

Ma di quanti lavoratori aggiuntivi avrebbe bisogno l'Italia? E perché non si trovano? Abbiamo provato a fare il punto con Roberto Caponi, responsabile Lavoro di Confagricoltura.

 

Roberto Caponi, quanti lavoratori mancano all'appello?
"Dalle stime che abbiamo siamo sui 100mila addetti che mancano nei campi. Fino a pochi anni fa le aziende agricole trovavano nei Paesi dell'Est un ampio bacino di lavoratori a cui attingere, ma dalla pandemia in poi si è avuta una generale contrazione degli operatori disponibili".

 

Quanto pesa la manodopera straniera?
"Oggi circa un terzo dei lavoratori nel settore agricolo non è cittadino italiano. Storicamente l'intero comparto ha una forte dipendenza dai lavoratori stranieri, ben superiore rispetto ad altri settori dell'economia italiana. Eppure negli ultimi anni la situazione si è complicata e all'appello mancano ancora molti lavoratori".

 

Perché c'è questa carenza di manodopera straniera?
"Prima di tutto occorre distinguere la provenienza del lavoratore. Per quelli extracomunitari la barriera più grossa all'arrivo è di tipo burocratico. I Decreti Flussi vengono pubblicati sempre in ritardo e con numeri bassi, ben al di sotto della necessità del comparto. Se si aggiunge poi la lentezza burocratica, per un'azienda agricola diventa molto difficile far arrivare il personale di cui ha bisogno".

 

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E per quanto riguarda i cittadini europei, che godono della libertà di spostamento all'interno dell'Unione Europea?
"Dall'allargamento dell'Unione Europea fino a pochi anni fa l'Italia ha potuto reperire manodopera dai Paesi dell'Est, come Polonia, Bulgaria e Romania. Oggi però questi Paesi stanno vivendo una crescita economica importante che rende non più così conveniente venire a lavorare in Italia. Molti lavoratori preferiscono rimanere nei Paesi di origine o spostarsi in Stati in cui vengono pagati di più, come la Francia o la Germania. C'è poi una certa competizione interna al nostro Paese tra diversi settori, come quello dell'edilizia che attira anche lavoratori potenzialmente impiegabili in agricoltura".

 

C'è un tema di bassi salari riconosciuti ai lavoratori?
"Abbiamo giusto da poco rinnovato il contratto nazionale con un aumento del 4,7% dei salari. La remunerazione viene decisa prima di tutto a livello collettivo e poi sul territorio ed è adeguata al tipo di professionalità e al costo della vita. Certamente quello che abbiamo notato è che con l'introduzione del reddito di cittadinanza il numero di italiani che lavora in agricoltura, già basso, si è multiformemente contratto".

 

Ci può spiegare meglio?
"Soprattutto per la manodopera non specializzata l'agricoltura è stata un'attività che permetteva di ottenere un reddito. Oggi questi lavoratori preferiscono guadagnare qualcosa di meno al mese ma non svolgere alcuna attività grazie al sussidio rappresentato dal reddito di cittadinanza".

 

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Il settore agricolo è poco attrattivo per gli italiani?
"In tutti i Paesi sviluppati l'agricoltura è un settore poco appetibile perché richiede un certo sforzo fisico e ha salari meno allettanti rispetto ad altri settori. Per questo l'agricoltura è un settore che viene rifiutato dalla maggioranza dei lavoratori italiani che preferisce altri impieghi o appunto il reddito di cittadinanza".


Le statistiche però parlano di un certo interesse da parte dei giovani verso l'agricoltura…
"Si tratta però soprattutto di giovani che rilevano l'attività dei genitori o che si lanciano in nuove attività imprenditoriali, magari in contesti particolari, come l'agriturismo, oppure in nicchie di mercato. Su questo fronte certamente aiutano anche gli incentivi che sostengono il ricambio generazionale. Il lavoro dipendente invece non è affatto attrattivo per i giovani italiani".


Che cosa servirebbe per sbloccare la situazione?
"Servirebbe pianificare in anticipo e realisticamente flussi di lavoratori da Paesi extraeuropei, riducendo al minimo la burocrazia e i tempi di attesa. Questo almeno per quanto riguarda i lavoratori non specializzati, il cui numero è destinato a declinare e per i quali abbiamo bisogno di reperire in tempi celeri nuova forza lavoro".

 

E per gli operatori specializzati?
"Servirebbero percorsi di formazione ad hoc e far capire che l'agricoltura moderna è molto diversa da quella del passato e ha bisogno di professionalità specifiche. Con il rilancio dell'agrisolare ad esempio avremo bisogno di operatori che sappiano gestire gli impianti".

 

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