Entra nel vivo della Politica agricola comune Gabriele Canali, economista agrario dell'Università Cattolica di Piacenza, accendendo i riflettori sul tema del lavoro.
"Il Primo pilastro della Pac è stato saldamente legato alla terra come fattore di produzione, tuttavia non dobbiamo dimenticarci che la terra è solamente uno dei fattori, insieme al lavoro e ai capitali investiti. Tale considerazione mi sembra molto semplice, ma ha implicazioni macroeconomiche molto elevate, qualora si superasse la visione legata alla terra per ricomprendere appunto il lavoro e i capitali".
Una impostazione basata sul lavoro sarebbe anche più vantaggiosa per il modello di agricoltura applicato in Italia, dal momento che, osserva Canali, "l'agricoltura italiana sviluppa un valore alla produzione più elevato della media degli altri paesi europei, utilizzando poca terra. Se si imposta la Pac privilegiando la distribuzione delle risorse in base agli ettari, è evidente che l'Italia ne esce penalizzata. Ritengo infatti che utilizzare solo il parametro degli ettari sia distorsivo e distorto".
Tenere conto del fattore lavoro, per Canali, diventerebbe una variabile non trascurabile. "Pensiamo all'impiego di manodopera nell'ortofrutta o in zootecnia - spiega -. Quando parliamo di capping, cioè di tetti massimi all'erogazione degli aiuti del Primo pilastro della Pac, il fattore lavoro diventa un elemento tutt'altro che secondario. Tenere pertanto conto del lavoro dipendente e indipendente che gravita attorno alle aziende agricole diventa fondamentale. Per essere più espliciti: se un'azienda mi dimostra che ha svolto attività che comportano impiego di lavoro, questo ha attivato un'economia rispetto a una coltura dove il lavoro è stato usato in maniera più parziale".
E il contoterzismo? Come dovrebbe essere considerato il lavoro terziarizzato del quale molte aziende agricole ormai si servono? "Dentro i servizi del contoterzismo c'è una remunerazione del lavoro, che va scaricata nell'ottica del capping, e una remunerazione del capitale, intesa come gli investimenti per l'acquisto delle macchine agricole".
Secondo Canali, inoltre, vi sarebbe da considerare un altro vantaggio con tale meccanismo premiante. "Una soluzione che non taglia gli aiuti del Primo pilastro della Pac se si utilizza il lavoro, evidentemente fa emergere il lavoro nero e assegna importanza al lavoro etico, remunerato, documentato in maniera oggettiva. E si torna ai tre elementi iniziali: la terra, il lavoro e i capitali, per scoprire che molto spesso, anche se non sempre, dove c'è più lavoro di norma ci sono anche maggiori investimenti".
La nuova Pac post 2020 in discussione nei prossimi mesi, potrebbe essere l'occasione per un passaggio epocale per Canali, "contemplando finalmente un passaggio da un sostegno all'agricoltura al sostegno dei redditi di coloro che lavorano nel settore agricolo e per il settore agricolo. Aiutare le imprese che generano lavoro si tradurrebbe in un sistema premiante e in grado di dare ulteriore lavoro".
Il tema del lavoro all'interno della Politica agricola comune, ricorda Canali, era già stato portato sul tavolo della discussione a livello europeo, per essere in parte accantonato. "Oggi ci ritroviamo ad avere un nuovo Parlamento europeo, una nuova Commissione Ue e, a livello nazionale, una nuova ministra, Teresa Bellanova, la cui storia la individua come sensibile ai temi del lavoro. Potrebbe essere l'occasione per un nuovo respiro della Pac".
A proposito di nuova Commissione Ue, all'Agricoltura dovrebbe approvare un ex giudice ed ex europarlamentare polacco, Janusz Wojciechowski. Cosa aspettarsi? "Non è facile rispondere - frena Canali -. La Polonia come altri paesi dell'Europa Centro Orientale si trova ad affrontare situazioni che sono complementari, ma non preferibili, rispetto alle nostre. Certamente c'è stata in questi anni una fuga di risorse umane verso i paesi della vecchia Europa, dal Regno Unito alla Germania. I lavoratori più giovani e più qualificati, spostandosi dall'Europa dell'Est hanno, in un certo senso, impoverito il capitale umano nei loro paesi di origine, generando dei gap sociali e produttivi che in qualche modo hanno rallentato lo sviluppo di quegli stessi paesi. Tutto ciò ha generato squilibri. Badi bene, si sono create situazioni di concorrenza sleale verso i lavoratori tedeschi nel caso di migrazioni dalla Polonia alla Germania, ma parallelamente si sono create condizioni di opportunità verso i lavoratori polacchi, che però a loro volta hanno impoverito in termini di economia e di capitale del lavoro il paese di origine. È un tema che è emerso anche nelle prime fasi della Brexit e che dovrà essere affrontato in chiave europea".
Tale scenario genererà, per Canali, la richiesta di poter contare su una Politica agricola comune sempre più europea, con regole più omogenee. "Qualcuno ha avanzato il tema del reddito minimo europeo, che è un tema senza dubbio complesso, di difficile attuazione, ma la questione del lavoro deve essere affrontata con l'obiettivo di ridurre o minimizzare gli squilibri tra vecchia e nuova Europa - insiste Canali -. Una Pac che rafforza gli elementi di rendita del capitale fondiario e non valorizza il lavoro, approfondisce il divario e non aiuta. Ma ritengo che la strada, seppure in alcuni contesti in maniera ancora embrionale, sia stata tracciata: l'attenzione alla sicurezza e alla qualità, l'applicazione del principio di precauzione, sono elementi che si stanno affermando in tutta Europa".
Anche il tema dell'etichettatura e della certificazione dell'origine, le indicazioni geografiche non sono più questioni relegate a pochi paesi dell'area mediterranea. "Si è capito che indicare la provenienza delle materie prime, la tutela dell'ambiente, la salubrità del cibo rafforzano la qualità della vita in senso lato. Oggi dobbiamo essere lungimiranti su questi temi, anche perché - prosegue Canali - chi ha conosciuto il modello europeo di produzione agroalimentare non vuole confondersi con altri modelli. C'è qualcuno che si fida di più del modello produttivo nordamericano o asiatico o sudamericano?".
Tutti elementi che convincono Canali a pensare che "il commissario polacco non potrà non accogliere le richieste di indicazione dell'origine. Naturalmente serviranno indicazioni omogenee, definendo nuovi principi comuni per favorire trasparenza su caratteristiche qualitative in senso lato e per vigilare sulla sicurezza alimentare con la stessa attenzione. Ecco, allora, che sarà indispensabile garantire che i sistemi veterinari e di controllo operino su scala europea con la stessa efficacia e la medesima intensità, con controlli omogenei su tutti i porti di arrivo delle merci provenienti da paesi extra-Ue. A quel punto non dovrebbe più interessarci se un prodotto è arrivato in Olanda, in Polonia, in Grecia, in Italia o altrove, perché vi sono standard, procedure ed efficienze di controllo comuni. Questo darebbe tranquillità maggiore ai consumatori e sono convinto che si andrà in questa direzione", afferma Canali.
Parlando di Pac è inevitabile approfondire il nodo delle risorse finanziarie. "È certamente un tema rilevante - dichiara Canali - ma per affrontarlo in modo serio è forse necessario affrontare uno studio, magari a livello accademico, dell'impatto delle risorse e della loro efficacia, oltre all'efficienza della spesa. Chiedere maggiori risorse quando poi non vengono allocate in maniera efficace ed efficiente, col rischio di non utilizzarle del tutto, non ha molto senso. È giunto ilo momento di difendere le risorse per la Pac in modo da aiutare l'agricoltura che produce redditi, lavoro, competitività e sostenibilità. Distribuire tante gocce a chi non è in grado di dare queste risposte in concreto, è ormai antistorico".
Per Canali passare dalle risorse nel loro complesso a nuove modalità di intervento economico finanziario è un attimo. "È giunto il momento di valutare nuove formule di sostegno al reddito - valuta -. Erogare un piccolo contributo ogni anno forse aiuta meno rispetto a soluzioni di intervento che intervengono tempestivamente in caso di crisi, di volatilità dei mercati, di rischi in atto, di sviluppo di patogeni o malattie che hanno impatti fortemente negativi sulle produzioni o sui prezzi, su azioni di politica macroeconomica come barriere e dazi. Forse gli agricoltori europei stanno riflettendo su nuove opportunità, magari rinunciando a qualche elemento di sicurezza come gli aiuti erogati annualmente, per nuove politiche di sicurezza e di tempestività degli interventi".
Gabriele Canali, economista agrario dell'Università Cattolica di Piacenza
Leggi anche "La Politica agricola comune davanti a un bivio"