Oggi il percorso si trova a un bivio, come lo stesso De Castro conferma all'Ansa. "Nella precedente legislatura abbiamo votato in Commissione Agricoltura tutti e tre gli atti di riforma della Pac: i piani strategici, le organizzazioni comuni di mercato, e il regolamento orizzontale - dice -. Ora ci troviamo nella situazione in cui dobbiamo decidere se proseguire con il lavoro fatto nella scorsa legislatura o fare alcuni aggiustamenti".
Difficile che la discussione riparta dall'inizio della proposta avanzata nel 2018 dal commissario all'Agricoltura Phil Hogan, prossimo a guidare la Commissione europea del Commercio. Non si riapriranno tutti i dossier agricoli, ma di sicuro con il futuro commissario Janusz Wojciechowski non mancherà chi punterà a rimettere al centro del negoziato agricolo il tema della rinazionalizzazione, la possibilità cioè per gli Stati membri di intervenire con azioni profonde sulla Pac.
Una Pac esageratamente sfaccettata e à la carte rischia di aprire falle in chiave di concorrenza e di burocrazia. "La rinazionalizzazione - chiarisce De Castro - è una semplificazione per l'Europa, che si libera di alcune incombenze, ma non lo è per gli agricoltori".
Di sicuro la prossima Politica agricola comune si occuperà approfonditamente di cambiamenti climatici, come è emerso dal recente Consiglio agricolo informale di Helsinki, durante il quale è stato raggiunto un punto di accordo tra i ministri dell'Agricoltura sul ruolo della Pac per aumentare il sequestro della CO2 da parte dei terreni agricoli.
"La futura Pac potrebbe essere utilizzata per esplorare i modi per progettare e attuare i programmi sulle emissioni di carbonio delle aziende agricole", ha invitato il commissario Hogan, mentre il numero uno del Ceja, Jannes Maes, affermava che "per i giovani agricoltori Ue un reddito sostenibile è la base per attuare misure efficaci per affrontare le sfide dei cambiamenti climatici a lungo termine".
Sul climate change la visione di De Castro è saldamente europeista. "Alla luce dell'emergenza climatica dobbiamo rafforzare il ruolo dell'Europa, non dismettere la Politica agricola comune - commenta -. Certo, i singoli Stati membri potranno poi intervenire per adattare l'architettura istituzionale alle esigenze dei territori, ma scegliendo nell'ambito di misure predefinite a Bruxelles".
Inizia un lungo viaggio di discussione, che potrebbe durare non meno di diciotto mesi, soprattutto per la complessità del sistema dei triloghi, i negoziati che prevedono riunioni fra Parlamento europeo, Commissione e Consiglio.
Non si può parlare di Pac senza toccare il tema delle risorse. In conseguenza della Brexit il contraccolpo si tradurrà in 10-12 miliardi di meno nelle casse di Bruxelles. E, qualora i singoli Stati non fossero disponibili ad aumentare il proprio budget di fondi verso l'Unione europea, sarebbe inevitabile procedere con i tagli all'agricoltura, volendo implementare politiche rivolte all'Erasmus, ai migranti, alla ricerca. "Il Parlamento europeo ha detto di no ai tagli - riferisce De Castro all'Ansa -. Ma in caso di tagli, a rischiare di più sarebbe il Secondo pilastro della Pac, quello dello sviluppo rurale. E l'Italia rischierebbe di perdere nel prossimo settennato di programmazione agricola fondi pari a 2,7 miliardi di euro. Ma mettere più fondi nel bilancio europeo è per gli Stati membri un investimento per tutti, non una spesa".
Il tema del capping, i tagli dei finanziamenti oltre il tetto proposto di 100mila euro per azienda, sarà sicuramente oggetti di dibattito, così come il ruolo del costo del lavoro da portare in detrazione nel computo del tetto massimo oltre il quale scatta la mannaia sui fondi.
"Deve però essere molto chiaro un concetto - conclude De Castro - e cioè che la Pac non si occupa di tutti gli agricoltori. Con la Pac ci occupiamo solo degli agricoltori professionali, che vanno aiutati perché producono in un mondo globale".
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