Un peperone che cresce ad un metro dal suolo su un substrato di fibra di cocco può essere considerato biologico? E una fragola che non ha mai visto la luce del sole ma solo lampade a led? Sono queste le domande che si sono posti alcuni paesi ora che a Bruxelles si sta discutendo la riforma dell'agricoltura biologica.
La legislazione europea è molto chiara in proposito: l'idroponica e le altre tecniche fuori suolo non possono essere considerate '100% organic', così come le coltivazioni indoor, dove la luce del sole è sostituita da lampade.

Per la maggior parte degli agricoltori non c'è discussione, un prodotto è biologico se è 'naturale' e cioè se cresce in suolo, se si nutre di ciò che il sole e la terra gli fornisce, senza l'uso di Ogm o di prodotti di sintesi per la nutrizione o la difesa. Eppure la questione non può essere liquidata così sbrigativamente. Già, perché se la coltivazione fuori suolo non è legalmente biologica, in certi casi è più ecologica.

Il caso estremo è quello delle fragole prodotte dalla giapponese Ichigo. Crescono in un ambiente chiuso, una ex scuola in disuso, ma potrebbero farlo anche in magazzini abbandonati, vecchi tunnel della metropolitana o capannoni industriali. Essendo su più livelli si ottimizzano gli spazi, riducendo il consumo di suolo.
Le fragole si nutrono di soluzioni preparate ad hoc immesse in un ciclo chiuso che non prevede sprechi. Crescono grazie alla luce delle lampade a led, mentre umidità, percentuali di anidride carbonica e temperatura vengono controllati elettronicamente per garantire il miglior ecosistema per la crescita.
Il consumo più rilevante è quello energetico, oltre alla costruzione dell'impianto. Ma al di là di un bilancio economico, una coltivazione del genere produce pochi rifiuti e ha un basso impatto ambientale. E i casi si moltiplicano: dalle insalate alle erbe aromatiche.

Il Regolamento CE 834/2007 che detta la cornice giuridica per l'agricoltura biologica, considera il suolo un fattore essenziale: "La produzione biologica vegetale dovrebbe contribuire a mantenere e a potenziare la fertilità del suolo nonché a prevenirne l'erosione. Le piante dovrebbero essere nutrite preferibilmente attraverso l'ecosistema del suolo anziché mediante l'apporto di fertilizzanti solubili".

Ancora più esplicito il Regolamento CE 889/2008: "La produzione biologica vegetale si basa sul principio che le piante debbano essere essenzialmente nutrite attraverso l'ecosistema del suolo. Per questo motivo non deve essere autorizzata la coltura idroponica, che consiste nel far crescere i vegetali su un substrato inerte nutrendoli con l'apporto di minerali solubili ed elementi nutritivi".

Per la legislazione attuale nulla da fare dunque, ma alcuni paesi vorrebbero rendere i limiti meno stringenti. Gli Stati del Nord Europa, Germania e Olanda in testa, vorrebbero infatti vedere riconosciuta la possibilità di rilasciare la certificazione biologica per i prodotti coltivati in serra fuori suolo. In questi Stati infatti questo tipo di coltivazioni sono molto più sviluppate che nel resto dell'Unione.
Mentre Italia, Francia e Spagna si oppongono fermamente. E' questo uno degli elementi che ha portato di fatto ad uno stallo nel processo di riforma del settore biologico a Bruxelles.

"Noi siamo fermamente contrari a questa ipotesi. Non possiamo prescindere dal fatto che la qualità di un prodotto agricolo sia intrinsecamente legata al suolo, da non intendersi semplicemente come substrato di crescita, ma come elemento di collegamento tra pianta e ambiente", spiega ad AgroNotizie Marco Zullo, eurodeputato del Movimento 5 Stelle e membro della Commissione Agricoltura.
"Non è biologico prendere della terra e metterla in un vaso in una serra o peggio ancora far crescere in maniera artificiale una pianta su un substrato inerte. Anche perché al di là della forma, del colore o addirittura del sapore, bisogna vedere se il prodotto cresciuto fuori suolo mantiene le sue caratteristiche naturali, ad esempio nutritive".

Per i sostenitori delle tecniche soilless il punto dirimente è il rispetto dell'ambiente e delle regole. Un sistema a ciclo chiuso in serra può essere più ecosostenibile di uno in pieno campo e se vengono usati prodotti ammessi nel biologico perché si dovrebbe rifiutare la certificazione?

Per Federbio, federazione che riunisce le organizzazioni operanti nella filiera biologica e biodinamica, non si possono fare aperture alle tecniche fuori suolo. "La nostra posizione è in linea con quella che la nostra autorità competente nazionale sostiene anche a livello europeo, ovvero la coltivazione fuori suolo non è compatibile con i principi del Regolamento 834/07 e dell'agricoltura biologica", spiega ad AgroNotizie Paolo Carnemolla, presidente di FederBio. "Dunque possono esserci solo limitate eccezioni, come nel caso del vivaismo e delle piante in vaso".

Sulla stessa posizione è anche Ifoam (International foundation for organic agriculture), organizzazione europea che raccoglie diversi soggetti che si occupano di agricoltura biologica: "La nostra posizione storica è che le coltivazioni terrestri debbano essere coltivate in suolo".

Nel resto del mondo cosa succede? Negli Stati Uniti, in Canada e in Messico gli agricoltori possono ottenere la certificazione biologica per le coltivazioni fuori suolo. Negli Stati Uniti il dibattito è però acceso. Il National organic program, l'autority statunitense sul biologico che dipende dal ministero dell'Agricoltura, non vieta né autorizza esplicitamente le coltivazioni idroponiche e acquaponiche.
Per ora le certificazioni rilasciate sono state frutto di un vuoto legislativo. Per fare chiarezza, a fine 2015, Nop ha lanciato una task force proprio per definire se questi nuovi metodi di coltivazione potessero essere considerati biologici, ma il report finale non ha messo nessun punto fermo, lasciando la questione ancora aperta.