L’84% del made in Italy agroalimentare (37 miliardi di valore dell’export) dipende dall’irrigazione che interessa circa 2.400.000 ettari, che pongono la nostra penisola al secondo posto in Europa, dietro la Spagna, come superficie irrigata.

L’utilizzo dell’acqua irrigua, in termini di volumi, avviene soprattutto nelle Regioni del Nord/Ovest (59%), seguite da quelle del Nord/Est (14%), Sud (13,5%), Isole (9%) e Centro (4,5%). Negli anni recenti si è assistito ad una tendenza verso sistemi di irrigazione più efficienti e che ha interessato il 42% delle aziende agricole e il 40% delle superfici irrigate.

Le principali colture irrigue, oltre al riso, sono: il mais da granella, le foraggere, il mais verde, gli agrumi, la frutta e le orticole.

Più della metà delle aziende agricole irrigue (circa 700mila) si approvvigiona tramite i Consorzi di bonifica e di irrigazione, mentre il 18% affianca l’autoapprovigionamento a tale prassi. E’ evidente, commenta l’Associazione nazionale dei consorzi di gestione e tutela del territorio e delle acque irrigue (Anbi), che la qualità delle produzioni agricole è strettamente legata anche a quella delle risorse idriche.

“Per questo, ma non solo - afferma il presidente aggiunto onorario del Consiglio di Stato Salvatore Giacchetti in occasione della Giornata mondiale dell'acqua che si celebra oggi - un primo obiettivo deve essere quello di salvare le acque fluenti dal progressivo inquinamento, cui sono sottoposte. Se si tratta di sola maleducazione, occorre avviare, fin dalle elementari, un serio programma scolastico di educazione ecologica. Ma se si tratta di incoscienza o peggio di criminalità, va preso atto che l’attuale sistema sanzionatorio ha scarsa efficacia e che quindi va rafforzata l’attuale tutela penale ed amministrativa delle acque”.

“Occorrerebbe perciò - continua Giacchetti - da un lato introdurre i reati di attentato all’ambiente e di omicidio ambientale, e dall’altro istituire una black list in cui iscrivere le imprese rinviate a giudizio o sanzionate in via amministrativa per inquinamento della falda o delle acque pubbliche. Da tale iscrizione dovrebbero derivare una serie di conseguenze negative per l’inquinante, quali la sospensione della legittimazione a contrarre rapporti con la Pubblica amministrazione e soggetti equiparati; la sospensione di qualunque beneficio pubblico di ordine industriale, commerciale e fiscale; il vincolo dei rimborsi Iva e di eventuali sgravi o benefici fiscali a garanzia del risarcimento dei danni provocati alle persone e all’ambiente; l’assoggettamento a class action agevolate e, infine, la sottoposizione automatica a monitoraggio ambientale e fiscale”.

“Certo - conclude Giacchetti - queste iniziative non colmerebbero la carenza culturale ed etica che c’è a monte negli attuali comportamenti incoscienti o criminali; ma quanto meno creerebbero un effettivo timore della pena che potrebbe contribuire a far sì che l’attuale apertura all’economia verde, di cui l’acqua è la linfa vitale, non si riduca ad una malinconica speranza verde”.