Leggendo il nutrito e qualificato programma della 27a edizione del Convegno Peschicolo non posso non rilevare l'assenza del tema dell'evoluzione dell'organizzazione che, sebbene non compaia nelle sessioni e fra le relazioni, rappresenta - almeno a mio avviso - una importante e concreta via per consentire un salto qualitativo consistente al nostro comparto peschicolo, forse la più importante nel medio periodo.
Nel nostro sondaggio dedicato alle 5 mosse necessarie per risollevare la peschicoltura italiana (vedi Italiafruit del 14 luglio scorso), la cultura d'impresa era stata indicata dai lettori come il fattore prioritario da sviluppare per garantire il recupero di competitività della nostra peschicoltura e l'organizzazione, in termini di modalità e dimensione aggregativa, era stata posizionata al secondo posto, a breve distanza, con oltre il 33% di preferenze. Io stesso nel commento avevo riqualificato in classifica l'innovazione tecnologica e quella varietale ma, certo, dove si può fare cultura, come nella convegnistica, parlare di aggregazione non può fare che bene. E' sicuramente importante fare il punto sul mercato e sulla ricerca ma, dopo una campagna come questa, dove i produttori faticheranno a coprire metà del costo di produzione, avrei voluto un po' più di coraggio nel prendere il toro per le corna affrontando il tema spinoso e irrisolto dell'evoluzione dell'organizzazione della produzione, sovvertendo per una volta lo schema tradizionale della manifestazione.

Abbassare la temperatura è la priorità per poter curare la malattia
Scrivevo qualche settimana fa che se vogliamo fare davvero qualcosa per la nostra peschicoltura dobbiamo immediatamente riportare un minimo di ossigeno alle imprese agricole, almeno a quelle che hanno caratteristiche adeguate per affrontare il mercato di domani. Ho parlato di abbassare la "febbre da cavallo" della nostra peschicoltura (vedi Italiafruit del 28 agosto scorso), ma senza una concertazione fra le attuali organizzazioni imprenditoriali del comparto sulle misure proposte nulla si può fare, nemmeno nel breve periodo.
Infatti, ho suggerito di separare nettamente il prodotto di qualità gustativa adeguata da quello scadente, che deprime il mercato soprattutto quando l'offerta è superiore alla domanda. Che senso ha studiare ancora le tendenze di consumo se non si fa subito questo? Quello che serve per riconquistare i consumatori lo sappiamo già. Si può utilizzare la tecnologia per dare concretezza al progetto; è in buona parte già disponibile nelle centrali di lavorazione e, dove manca, si può rimediare in fretta. Se vi fosse un accordo a livello di produzione e confezionamento si potrebbe partire a discutere almeno con le 10 prime organizzazioni della distribuzione moderna nazionale, che però controllano oltre il 40% del mercato di pesche e nettarine al dettaglio, per costruire un coordinamento di filiera che affronti ora, non a giugno, un piano di valorizzazione al consumo per fronteggiare la situazione e dare quel po' di stabilità su cui far ripartire il comparto quale che sia il tono della prossima campagna. Se no come si può scongiurare una nuova emergenza? Con i ritiri dal mercato e gli accordi interprofessionali sulla carta a giochi fatti? Vogliamo continuare a illudere chi non ha sufficienti conoscenze sui tecnicismi per capire che non è possibile?


Serve più organizzazione, non meno e più concretezza
All'ultimo Macfrut ho visto che veniva distribuito un volantino dove il Movimento dei Trasversali aveva riprodotto il mio articolo sulla "febbre da cavallo" della peschicoltura italiana, condividendone le medicine proposte. Sono lusingato di tanta attenzione e, visto che ha fatto Suo quanto ho scritto, chiedo al Movimento di dare il buon esempio, dando seguito alla terapia. Dalla contrapposizione fra le attuali rappresentanze dei produttori si deve passare a promuovere una nuova piattaforma di crescita organizzativa comune che parta dalle organizzazioni esistenti: sono una risorsa preziosa, anche se hanno certo difetti e sono in parte anche superate, ma non perché siano eccessive, sono viceversa insufficienti per quantità e qualità organizzativa; è indispensabile compattarle, non disgregarle; sarebbe un errore mortale. Il potere decisionale è infatti troppo frammentato e gli obiettivi ancora troppo modesti e dominati da logiche di bottega per il mercato che si sta affrontando. Serve un nuovo grande progetto comune per la peschicoltura nazionale verso il consumatore che, come scrivevo, "richiede il concorso di tutti i diversi attori della filiera" e che non può prescindere dalle attuali organizzazioni, quelle emiliano romagnole in testa; l'alternativa, per chi ancora non lo avesse capito (credo davvero pochi), è la motosega.
 
Roberto Della Casa
Managing director Italiafruit News