Ti accoglie con un sentiero erboso attorniato da arbusti e alberelli che termina su un largo spazio dove si snodano vari esempi di orti, urbani e non. Eccolo il Sana, il salone del biologico declinato nelle sue più svariate forme, che a Bologna ha messo in scena dal 7 al 10 settembre la sua 25esima edizione. Essere accolti così, da una scenografia ben congegnata per mettere in risalto ambiente e agricoltura, che del biologico dovrebbero essere (anzi, sono) i protagonisti, lasciava ben sperare. Poi, girando fra gli stand, ci si accorgeva che a farla da padrone era la cosmesi (naturale, ovviamente), il benessere del corpo e della mente e tutto ciò che può richiamare nel quotidiano il concetto di naturalità. Il tutto, va riconosciuto, in una cornice di professionalità che fa onore alla kermesse bolognese del naturale. Non che il cibo (biologico, non si scappa) fosse assente, tutt'altro. Ma come comprimario e non certo come protagonista. E poi, in ultimo, l'agricoltura. Con le sue rappresentanze, dalle organizzazioni alle istituzioni, con i produttori orgogliosamente in prima fila a mostrare il risultato del loro (duro) lavoro. Ne avremmo voluta vedere di più di agricoltura, ma il nostro è un giudizio di parte, dalla parte dell'agricoltura, ovviamente. Così come occorre riconoscere agli organizzatori di Sana di aver mantenuto la strada della professionalità intrapresa già da qualche anno e in questo solco di aver progressivamente aperto maggiori spazi al mondo agricolo impegnato nel biologico. Una scelta che sembra ispirata dal buon andamento del comparto dell'agricoltura biologica nel nostro Paese. Lo dicono i numeri presentati in vari incontri che si sono svolti durante il Sana.

Bio in crescita
Le analisi condotte da Ismea e Sinab (rispettivamente Istituto di servizi per il mercato agroalimentare e Sistema di informazione sull'agricoltura biologica) dicono infatti che dopo un periodo di stasi è aumentato il numero di ettari coltivati a biologico (1,16 milioni di ettari, + 6,4%) e sono aumentati anche i consumi di prodotti bio, cresciuti nel 2012 dell'8,8%. Un aumento che secondo l'Osservatorio Sana 2013, curato da Nomisma, è destinato a mantenere un trend positivo nel prossimo futuro.

L'Europa del bio
Il già cospicuo giro di affari del settore, che ammonta a 1,7 miliardi di euro miliardi di euro, sembrerebbe dunque destinato ad aumentare e non solo in Italia, ma in tutta l'Unione Europea, seppure con dinamiche diverse tra i diversi Paesi membri. Ed è proprio questa diversità che richiede di essere risolta e armonizzata per offrire migliori opportunità di crescita. Anche di questo si è discusso a Sana, in un convegno organizzato da Inea (Istituto nazionale di economia agraria), che si è dato il difficile compito di delineare i possibili scenari del futuro dell'agricoltura biologica in Italia e nella Ue. Fra i punti critici che riguardano l'Italia figura ai primi posti la disomogeneità degli interventi nelle diverse regioni e la necessità di “svecchiare” le leggi che disciplinano il settore. Esempi di un approccio efficace per lo sviluppo delle coltivazioni biologiche vengono dalla Francia, il cui piano quinquennale (2008-2012) ha raggiunto il risultato di raddoppiare il numero delle aziende impegnate nel bio. Ora che quel progetto è concluso si sta lavorando al prossimo, con destinazione 2017. Elemento qualificante nel progetto francese sarà il coinvolgimento di tutti i ministeri interessati, quello dell'Agricoltura in primo luogo ma anche quello della Salute e infine della Istruzione, con la diffusione nelle scuole superiori delle conoscenze sull'agricoltura e su quella biologica in particolare. In pratica una campagna di educazione alimentare che della conoscenza delle dinamiche dei campi e delle coltivazioni farà il suo punto di forza.

Il ruolo della Pac
La svolta a livello comunitario per l'agricoltura biologica sarà dettata dalla riforma della Pac, occasione fondamentale per uniformare l'approccio dei singoli Paesi membri a questo settore. Altrimenti continueremo ad avere grandi differenze come nel caso della spesa per ettaro che è ai minimi per la Gran Bretagna e ai massimi per Cipro. Una diversità che si riflette sui budget e sugli indirizzi che in alcuni Paesi vede il biologico come strumento per diffondere un'agricoltura sostenibile, argomento invece ignorato altrove.

Una lobby per il bio
Uniformare il modo di interpretare l'agricoltura biologica nei 28 Paesi della Ue, così diversi per cultura, tradizioni e situazioni ambientali, non sarà cosa facile. Un aiuto potrà venire da TP Organics, una piattaforma tecnologica (ne esistono 38 nella Ue) il cui compito è quello di fare lobby nel settore del bio e di indirizzare la ricerca e le scelte che afferiscono a questo comparto. Al suo interno vede la partecipazione di tutti i protagonisti della filiera, dalle industrie alle organizzazioni dei produttori. Che la sua azione sia efficace lo dimostra l'impulso ai finanziamenti per il biologico che si sono avuti dal 2009, anno della sua nascita, in avanti. Ora c'è in ballo un nuovo obiettivo che ha l'emblematico nome di Horizon 2020. Non resta che augurare buon lavoro.