L’impermeabilizzazione, cioè la cementificazione, è uno dei maggiori processi di degrado del suolo ed è un problema presente in tutta Europa, uno dei continenti più urbanizzati al mondo".
Il grido d'allarme è stato lanciato da Massimo Gargano, presidente dell’Anbi, l'Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni, che questa mattina a Roma presenta il Piano 2013 per la riduzione del rischio idrogeologico in Italia.

L'Anbi ha calcolato che tra il 1990 e il 2006 si sia avuto un aumento delle aree di insediamento del 9% in media; in Italia si stima che il consumo del suolo nel periodo 1990-2005 sia stato di oltre 244.000 ettari all’anno (circa due volte la superficie del comune di Roma), in pratica oltre 668 ettari al giorno (circa 936 campi da calcio).

Gargano sottolinea dunque come limitare e compensare l’urbanizzazione del suolo, impedendo l’occupazione di altre aree verdi, sia una priorità continentale. Al riguardo, la Commissione Europea ha pubblicato lo studio Orientamenti in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo, cui  ha contribuito anche l’Anbi.

Va anche ricordata la forte pressione dell’impermeabilizzazione sulle risorse idriche. Un suolo può incamerare fino a 3.750 tonnellate di acqua per ettaro o circa 400 millimetri di precipitazioni; l’impermeabilizzazione riduce l’assorbimento di pioggia nel suolo, in casi estremi impedendolo completamente.  L’infiltrazione di acqua piovana nei terreni, invece, fa sì che essa impieghi più tempo per raggiungere i fiumi, riducendo la portata e quindi il rischio di inondazioni.

"Come già nel 1951, 1966, 1994, 2010, 2011, anche nel 2012, il mese di novembre è stato foriero di disastrose alluvioni - ricorda Gargano - In Toscana, dove si sono registrati anche 7 morti ed in Umbria; nei giorni scorsi situazioni critiche si sono registrate anche in Emilia-Romagna e Veneto”.
Il dissesto idrogeologico in Italia interessa, secondo i dati ufficiali, l’82% dei Comuni; 6 milioni di persone abitano in un territorio ad alto pericolo idrogeologico e 22 milioni in zone a pericolo medio. Si calcola che 1.260.000 edifici, tra cui oltre 6.000 scuole e 531 ospedali, sono a rischio di frane ed alluvioni.

Un’analisi, compiuta dall’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Consiglio nazionale delle ricerche, rivela che tra il 1950 e 2012 si sono registrati 1.061 frane e 672 inondazioni. Le vittime sono state oltre 9.000 e gli sfollati o senza tetto piu’ di 700.000. Tali eventi hanno avuto impatto sui beni privati e collettivi, sull’industria, sull’agricoltura, sul paesaggio e sul patrimonio artistico e culturale senza considerare le implicazioni in termini psicologici ed occupazionali. E il danno economico è enorme: supera i 240 miliardi di euro, secondo i dati Ance-Cresme riferiti al periodo tra il 1944 ed il 2011.

Le cause sono molteplici – conclude il presidente dell'Anbi - La variabilità climatica, l’eccessiva urbanizzazione, il disordine nell’uso del suolo, la mancata cura del territorio attraverso una costante manutenzione. In generale, molte delle calamità sono generate da eventi idrologici eccezionali, che si ripetono cioè non prima di 30 anni e di cui si può ridurre l’impatto solo attraverso azioni volte a rinforzare i territori fragili, provvedendo alla manutenzione idraulica, assicurando il funzionamento degli impianti idrovori ed il consolidamento degli argini”.