Galan lo aveva detto, difficile dire di no alle richieste del ministro Tremonti e alla sua “dieta” fatta di tagli e sacrifici. Poi è arrivato il momento della “manovra” che ha animato il dibattito politico di questi giorni. Sono 56 gli articoli del decreto legge firmato il 31 maggio con il quale si cercherà di mettere a posto i conti dell’Italia. Un compito che ci impone la Ue, lo hanno detto in tutti modi possibili, con l’obiettivo di rimettere in equilibrio il rapporto fra debito pubblico e Pil. Ma non è di questo che ci vogliamo occupare, bensì delle ripercussioni della “manovra” sul comparto agricolo. E se ci fermiamo solo a questo potremmo anche sfregarci le mani in segno di sollievo e dire che in fin dei conti è andata bene. I temuti tagli all’agricoltura si riducono ad una riduzione delle dotazioni finanziarie delle missioni di spesa del ministero dell’Agricoltura per circa 60 milioni di euro “diluiti” nel triennio 2011-2013 e alla chiusura di alcuni enti. Chiusure sempre dolorose per chi se ne trova coinvolto, altrimenti indolori per molti. Vediamone insieme alcune.

 

Gli enti soppressi

Sotto la scure dei tagli cadranno il Comitato nazionale italiano per il collegamento tra il Governo e la Fao e il Centro per la formazione in economia e politica per lo sviluppo rurale di Pozzuoli. Molti non ne avranno mai sentito parlare, ma qualcuno di certo alzerà barricate per impedire queste chiusure. Intanto prendiamo atto che si risparmiano soldi e che i compiti di questi enti verranno comunque portati avanti direttamente dal ministero dell’Agricoltura. Altri enti saranno invece inglobati in strutture preesistenti. E’ il caso della Stazione sperimentale per l’industria delle conserve alimentari, che passerà in seno alla Camera di commercio di Parma. Analogo destino per la Stazione sperimentale per le industrie delle essenze e dei derivati degli agrumi, che confluirà nella camera di commercio di Reggio Calabria. L’Ense (Ente nazionale sementi elette) e l’Inca (Istituto nazionale conserve alimentari), passeranno sotto la guida dell’Inran, l’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione.
Si è parlato molto in questi giorni della possibile chiusura di Buonitalia, la società creata dal precedente ministro dell’Agricoltura per la promozione del made in Italy. Questa non figura nel decreto legge firmato il 31 maggio, ma potrebbe essere una futura decisione autonoma del ministro Galan. E molti sono propensi a leggere questa eventuale decisione come l’esito di un ipotetico conflitto fra Galan e Zaia. Chissà? Intanto Galan fa sapere che da questi tagli pensa di ricavare un bel gruzzoletto di euro da offrire a Tremonti quale contributo dell’agricoltura alla “manovra”. Tutto bene? No, ovviamente. Dal mondo agricolo si sono alzati dissensi e in particolare la Cia ha lamentato come la manovra non contenga “nessuna misura di carattere strutturale, nessun intervento mirato alla crescita”. Critiche che il ministro Galan ha respinto sottolineando che la manovra non taglia neanche una lira all’agricoltura e ricordando che gran parte dei sostegni destinati all’agricoltura arrivano da Bruxelles e non da Roma.

 

Soldi alle ortiche

A ben guardarci, più che la manovra preoccupano gli sprechi e le inefficienze che si registrano nell’impiego dei finanziamenti della Ue. L’agricoltura italiana, infatti, sta rischiando di perdere oltre un miliardo di euro a causa dei ritardi accumulati in alcune Regioni nell’impiego dei fondi destinati ai Psr. In ballo ci sono circa duemila miliardi delle vecchie lire che potrebbero esserci tolti per rientrare nelle casse dell’Unione europea. Altro che gli spiccioli della manovra. Eppure se ne parla poco e quel poco quasi sottovoce. Del problema si sta occupando il ministro Galan che ha allo studio un meccanismo che consenta di evitare uno spreco che lo stesso ministro ha definito “indecente, scandaloso e indecoroso. Impossibile dargli torto e speriamo che almeno in queste iniziative possa trovare il sostegno delle organizzazioni degli agricoltori. Con l’invito a guardare più a Bruxelles che a Roma, perché è in Europa che si decidono le sorti della nostra agricoltura. E a Bruxelles occorre arrivare preparati, sapendo cosa si vuole e come ottenerlo. Troppe volte abbiamo lasciato che direttive e regolamenti trovassero applicazione senza un nostro coinvolgimento, salvo chiedere poi proroghe e rinvii che l’Italia paga relegandosi ad una posizione di subordine nel consesso europeo. Allora versiamo pure una lacrima per la soppressione di qualche ente, ma attrezziamoci per essere protagonisti a Bruxelles. Sino ad oggi è avvenuto di rado.