Presidente, Torino si prepara ad ospitare la  46ma Borsa Europea del Commercio, l’appuntamento di settore più importante della stagione al quale parteciperanno operatori provenienti da tutto il mondo. Per cosa si caratterizzerà quest’edizione torinese?
“La Borsa si colloca nel pieno delle valutazioni del settore cerealicolo e nel cuore della campagna maisicola che quest’anno si presenta particolarmente delicata per il mercato, vista la diminuzione del raccolto. Un calo dovuto in parte a una riduzione delle superfici coltivate in funzione della redditività e, in misura maggiore, all’andamento climatico segnato dalla siccità.
Questa situazione ha inciso e inciderà negativamente sui raccolti, penso in particolare alla Francia, con ricadute pesanti anche in Italia che, fino al 2004 e per buona parte del 2005, proprio nella Francia ha avuto una fonte importante di approvvigionamento. In questo quadro si inseriscono poi altri fenomeni, come l’affacciarsi sul mercato continentale dei produttori dell’Europa dell’Est, un fattore che avrebbe dovuto garantire una maggiore disponibilità di materie prime ma che, di fatto, è stato 'compensato' dalla mancata produzione di Paesi a tradizionale vocazione cerealicola. Senza dimenticare che a frenare l’arrivo in Italia di materie prime dall’Est constribuiscono anche i problemi legati alla logistica e alla cultura del mercato”.

Guardando al flusso tra import ed export dei cereali, si può parlare di andamento costante del mercato o si registrano cambiamenti importanti?
“I dati relativi ai primi cinque mesi del 2006 parlano chiaro e mostrano un saldo negativo tra import ed export di 6,7 milioni di euro, con un’inversione di tendenza rispetto al 2005 che si era chiuso con un trend positivo (+ 20 mln di euro). Entrando in dettaglio, le importazioni del settore cerealicolo tra gennaio e maggio sono state di 4,14 milioni di tonnellate, contro le 3,95 del 2005 (+5%), con un incremento dovuto soprattutto al grano duro e al mais. Aumentano anche le esportazioni (+4,3% rispetto al 2005) - per prodotti trasformati, mangimi a base di cereali, di farina di grano tenero e di pasta alimentare - ma con una diminuzione complessiva del valore unitario”.

Parliamo di micotossine. Come viene affrontato il problema?
“Sicuramente c’è preoccupazione a attenzione per le micotossine e le patologie connesse, che coinvolgono tutta la filiera agroalimentare e per le quali vanno fatti controlli dal campo ai prodotti trasformati. La Comunità europea sta monitorando il problema e ha emanato azioni per sollecitare l’applicazione dei controlli. Tutto questo implica una maggiore capacità di reazione nell’affrontare la malattia, che va poi ad impattare il capitolo delle biotecnolgie come risposta al problema".

A questo proposito, l'avvento delle biotecnologie ha influito sull'andamento dei mercati? E se sì, in che modo?
“E’ importante affrontare l’argomento in modo pragmatico, e non già ideologico, inquadrando l’utilizzo delle biotecnologie nel percorso di ricerca compiuto dalla filiera alimentare che, negli anni, ha saputo garantire qualità dei prodotti a prezzi contenuti. Mi spiego. Noi viviamo in nazioni ricche, che hanno però la responsabilità sociale dei Paesi attanagliati dalla fame e dalla mancanza di cibo. In questo senso l’uso delle biotecnologie va inteso come l’applicazione di moderni strumenti per superare la limitata disponibilità di risorse alimentari. Ecco perché dico che la pressione esercitata dalle biotecnologie è una pressione positiva, che va nella direzione dello sviluppo e del progresso.
Negli ultimi 50 anni della nostra storia la filiera agroalimentare ha svolto un ruolo determinante - che non viene riconosciuto - nel garantire alimenti sani e a buon mercato, coniugando innovazione e rispetto dell’ambiente. Ed è in questo percorso che le biotecnologie si inseriscono come fattore di crescita, di rafforzamento, e non di alterazione, delle specie”.