un focus sarà fatto sulle normative comunitarie in merito al benessere animale.
Si parlava inizialmente di una riduzione del 30%. Oggi, a otto mesi dall’entrata in vigore della direttiva comunitaria, la percentuale è stata ridimensionata. “Pensavamo che l’eliminazione delle gabbie per l’allevamento delle scrofe – spiega Guerino Lombardi, responsabile del Centro di referenza nazionale per il benessere animale presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale di Brescia – a vantaggio di spazi maggiori dove gli animali devono essere allevati in gruppo, avrebbe causato un considerevole calo delle scrofe presenti in porcilaia. Dal 1° gennaio scorso le scrofe non possono più essere allevate in gabbia, ma in spazi più ampi e soprattutto in gruppo. In realtà, il dato iniziale va ridotto a un più contenuto 10-15% perché in molti casi gli allevatori, durante i lavori di adeguamento, sono spesso riusciti a recuperare spazi che erano rimasti inutilizzati per molto tempo, evitando in questo modo di eliminare un numero eccessivo di scrofe”.
Ma il dato che Lombardi tiene a sottolineare è che la maggioranza delle scrofaie italiane è oggi a norma rispetto a quanto prescrive la normativa sul benessere animale. “Solo un anno fa – precisa – non più della metà delle strutture poteva vantare questo status. In pochi mesi gli allevatori hanno avviato i lavori necessari e gli organi di controllo hanno operato per arrivare a un risultato che, fortunatamente, ci esclude dai richiami europei. Non saremo i primi della classe perché ci sono ancora alcune criticità relativamente ai pavimenti degli allevamenti per i suini da ingrasso, ma l’impegno profuso ha dato i suoi frutti. Contrariamente alla Germania, il settore suinicolo italiano non è inserito in nessuna black list”.
Aumentano gli allevamenti accreditati come indenni dalla malattia di Aujeszky
Gli aspetti positivi non si fermano qui. Come per la Direttiva sul benessere animale, con il 1 gennaio 2013 è entrata in vigore anche la normativa europea che stabilisce il divieto di circolazione di tutti i riproduttori non indenni dalla malattia di Aujeszky. Non più tardi di tre anni fa la sieroprevalenza negli allevamenti italiani sfiorava il 47%.
“Oggi possiamo affermare che il rispetto del Piano di controllo vaccinale – dichiara Loris Alborali, responsabile della sezione diagnostica dell’Istituto zooprofilattico sperimentale di Brescia – è nettamente migliorato dimostrando una maggiore sensibilizzazione in primis degli allevatori, ma anche dei veterinari aziendali. L’intenso lavoro che abbiamo fatto nel 2011 e l’anno successivo ci permetterà di vedere quest’anno i risultati grazie all’accreditamento che molti allevamenti stanno ottenendo".
Il mancato accreditamento determina il divieto di circolazione dei riproduttori
A rischio c'è la sopravvivenza delle aziende dei suinicoltori. Conclude Alborali: "La normativa entrata in vigore il 1 gennaio scorso non prevede solo l’accreditamento di allevamento indenne dalla malattia di Aujeszky. Le numerose restrizioni previste qualora non lo si ottenga determinerebbero, di fatto, la chiusura dell’azienda”.
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Fonte: Cremona Fiere