A spiegare le motivazioni è la stessa organizzazione di rappresentanza delle industrie di trasformazione, legate a Confindustria. “Due anni fa fu proprio l’Antitrust a inviare una nota all’allora assessore regionale all’Agricoltura, Giulio De Capitani, in cui si invitava a non sfilarsi dal convocare tavoli interprofessionali”.
Era l’estate del 2011 e il presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Antonio Catricalà, evidenziava come “le previsioni relative alla possibilità di concordare e definire tra le parti i prezzi di cessione e le quantità delle produzioni sono suscettibili di influenzare significativamente il comparto agricolo in senso anticoncorrenziale e, dunque, le intese aventi ad oggetto prezzi e quantità non dovrebbero mai essere siglate”.
Inoltre, Catricalà ribadiva che “la fissazione di tetti quantitativi alla produzione é idonea a produrre restrizioni concorrenziali non meno gravi di quelle derivanti dalla fissazione concordata dei prezzi”.
Fine delle trattative? Più o meno. “Da allora abbiamo smesso di partecipare alle trattative come Assolatte – dice la rappresentanza degli industriali lattiero caseari – e il prezzo del latte viene definito azienda per azienda. D’altronde, anche oggi l’applicazione delle norme previste dal cosiddetto Pacchetto Latte consentono alle op di gestire le relazioni contrattuali in nome e per conto dei propri associati”.
Per questi motivi, Assolatte “si rende disponibile a partecipare alla costituzione di organizzazioni interprofessionali e ad avviare in qualsiasi momento un dialogo con i produttori legato alla qualità, al miglioramento del prodotto, alla sua valorizzazione. Ma non sulla definizione di un prezzo della materia prima, in quanto tale aspetto compete alle aziende e non alla rappresentanza delle industrie di trasformazione”.