Le pecore a Cagliari, i suini a Milano. Uniti nello stesso giorno, il 26 luglio, da una protesta per una crisi che ha origini diverse, ma identici effetti, il fallimento e la chiusura degli allevamenti. Iniziamo dalla manifestazione che si è svolta a Cagliari, organizzata dal Movimento dei pastori sardi di fronte al “palazzo” della Regione Sardegna. Alla mai risolta crisi del pecorino e del prezzo del latte fermo a circa 60 centesimi al litro, si sono aggiunte le richieste di rimborso (con tanto di interessi) di alcune formule di aiuto concesse agli allevatori e ad altre categorie produttive. Questi aiuti sono stati “bocciati” da Bruxelles che ha stabilito che debbano essere restituiti. Quasi una beffa di fronte alle promesse, ancora disattese, di aiuti agli allevamenti colpiti dalla crisi. Così la protesta è salita di tono sfociando in qualche tafferuglio, inutile e controproducente. Poi la decisione del presidente del Consiglio Regionale, Claudia Lombardo, di accogliere una delegazione degli allevatori negli uffici della Regione per ascoltarne le richieste. E sono state nuove promesse di intervento. Gli animi si sono calmati, ma altra cosa è trovare una soluzione alla crisi del pecorino, ancora tutta da risolvere.

 

Suini a Piazza Affari

“Formula” diversa quella scelta dagli allevatori di suini per manifestare le proprie preoccupazioni. Guidati da Coldiretti, i suinicoltori provenienti da molte regioni italiane si sono dati appuntamento a “Piazza Affari”, sede dalla Borsa, a sottolineare idealmente l'intreccio fra le difficoltà degli allevamenti e le speculazioni che agitano i mercati delle materie prime per l'alimentazione del bestiame. Un dato per tutti, il prezzo del mais (uno degli “ingredienti” base dei mangimi) che nel volgere di 12 mesi è cresciuto di circa il 60%, “schizzando” da 160 a 260 euro per tonnellata. Inevitabili le conseguenze sul prezzo dei mangimi, aumentati del 17%. Per gli allevatori un ulteriore costo che secondo le stime di Coldiretti (che prende in esame anche l'aumento della bolletta energetica) raggiunge quota 300 milioni di euro. Davvero troppo per un settore già alle prese con prezzi di mercato che non coprono nemmeno le spese di produzione.

 

Settore al collasso

Ma non c'è solo il “caro-mangimi” dietro alle difficoltà che hanno fatto chiudere migliaia di allevamenti di suini, passati nel volgere di dieci anni da quasi 200mila a meno di 30mila. L'altro punto dolente è quello delle importazioni. Troppe cosce di suino, si è detto davanti a “Piazza Affari”, varcano i confini per trasformarsi in prosciutti “Made in Italy”. E a poco servirà la norma europea sull'origine in etichetta, che riguarda la carne, ma non i prodotti trasformati, come i prosciutti. Un punto sul quale gli allevatori chiedono una correzione di rotta. Anche di questo si discuterà al “tavolo suinicolo” che il ministro dell'Agricoltura, Saverio Romano, ha fissato per il 29 luglio.

 

Frenare la produzione

Gli allevatori di suini, come quelli di pecore, lamentano l'aumento dei costi e la caduta dei prezzi delle loro produzioni. In più arrivano le importazioni fuori controllo e le speculazioni sulle “commodities”, certamente concause della crisi che ha portato in piazza gli allevatori. Le promesse della presidente Claudia Lombardo e le conclusioni del “tavolo suinicolo” poco potranno se non si interviene sulla “causa scatenante”, l'eccesso di produzione. C'è troppo pecorino e troppo latte di pecora è avviato a questa produzione e ci sono troppi prosciutti che entrano nel circuito Dop. Senza un “governo” della produzione la crisi non troverà soluzione. Così è stato per tanti altri prodotti degli allevamenti e non solo. Prima è toccato al Parmigiano-Reggiano e al Grana Padano, ora è il turno delle pesche. E poi sarà di nuovo la volta dei formaggi e via di questo passo (già ci sono i primi segnali...). Per il Prosecco si è deciso di contingentare la produzione per evitare il crollo dei prezzi da eccesso di offerta. Lo si prenda come esempio.